Il 18 marzo 1965 a bordo di una piccola navicella spaziale Voskhod-2, due uomini stavano facendo la storia dell'esplorazione spaziale. Erano Alexey Leonov e Pavel Belyaev. Forse non tutti sanno che Leonov rischiò di non rientrare nella navicella, in quanto a causa della mancanza di pressione esterna, la tuta spaziale, ben diversa da quelle moderne che consentono di rimanere per ore nel vuoto, si era gonfiata ed aumentato il suo volume. Questo impediva al cosmonauta di passare attraverso il portello, cosa che poi fece con enormi sforzi, rischiando perfino la lacerazione del tessuto speciale.
Alla fine ci riuscì sgonfiandola un po' e rischiando un'embolia a causa della decompressione.
Leonov aveva 30 anni, e quando descrisse la sua esperienza, usò tali parole: "mi sentivo come un gabbiano con le ali aperte, svettanti sopra la Terra". E così venne raffigurato nell'iconografia eroica sovietica, con le braccia aperte mentre volava nel vuoto attorno al nostro pianeta. Neanche la sua famiglia sapeva che quel giorno avrebbe volato al di fuori della capsula, legato da un cordone ombelicale che gli mandava aria, come un palombaro. La segretezza del programma spaziale sovietico obbligava tutti a non rivelare quanto stesse accadendo se non dopo la fine della missione.
Nel suo recente libro, scritto con l'astronauta americano David Scott, "Two sides of the Moon", racconta la passeggiata spaziale e le sue drammatiche conseguenze.
A partire dalla figlia di 4 anni, Vika che vedendo il padre fluttuare, nascose il viso tra le mani e pianse, impaurita. O l'anziano padre sconvolto ed angosciato, che ai giornalisti chiese del perché suo figlio si stesse comportando come un giovane delinquente: "Sono tutti all'interno della navicella a svolgere la loro missione, che cosa sta facendo là fuori?
Qualcuno gli dovrebbe dire di tornare dentro immediatamente. Deve essere punito per questo!" Ma la sua rabbia si trasformò in orgoglio durante la trasmissione in diretta del presidente Leonid Brezhnev che si congratulava: "Noi membri del Politburo siamo qui seduti a guardare quello che state facendo. Siamo orgogliosi di voi.
Ti auguriamo il successo. Stai attento. Vi aspettiamo al sicuro sulla Terra".
Racconta ancora che con riluttanza iniziò la procedura per rientrare nella capsula dopo dieci minuti di EVA, attività extra veicolare. L'orbita li stava portando al buio, senza sole, al freddo. Fu allora che comprese che la tuta rigida si era deformata per la mancanza di pressione esterna. I piedi erano usciti dagli stivali e le dita erano fuori dai guanti, mettendo a rischio la tenuta stagna.
Poi è stata una lotta contro il tempo e contro l'impaccio della tuta rigonfia. Cercando di rientrare nella camera di compensazione dovette stare attento a non rompere i tubi dell'ossigeno ad alta pressione all'interno della tuta, per cui aprì con difficoltà una delle valvole e fece fuoriuscire l'ossigeno, rischiando di rimanere senza supporto vitale.
La temperatura interna stava aumentando a causa dello sforzo fisico coinvolto nelle manovre di emergenza. Finalmente riuscì a chiudersi nella camera di equilibrio della pressione con una manovra che definì "quasi impossibile". Belyaev attivò il meccanismo di compensazione della pressione tra la camera ed il resto della piccola navicella spaziale. Poterono così concludere la missione, senza altri inconvenienti. Quattro mesi dopo anche l'americano Edward White uscì dalla navicella Gemini-4, ma questa è un'altra storia.