A seguito del ricorso in Cassazione presentato dei legali di Massimo Bossetti, con il quale era stata richiesta la sua scarcerazione, la Suprema Corte ha rigettato l'istanza confermando il proseguimento della detenzione per l'imputato. Il muratore di Mapello è indagato per l'omicidio della giovane Yara Gambirasio, tredicenne ginnasta scomparsa nel novembre del 2010 dopo essere uscita dalla palestra di Brembate di Sopra che frequentava abitualmente.
Il suo corpo fu ritrovato nel tristemente noto campo di Chignolo D'Isola, circa tre mesi dopo la sua sparizione, nel febbraio 2011.
Le tesi di accusa e difesa
Il procuratore generale della Corte di Cassazione ha espresso parere negativo all'istanza di scarcerazione presentata da Claudio Salvagni, legale di fiducia dell'imputato, chiedendo che fosse rimesso in libertà. Secondo le motivazioni della Cassazione, il rischio di reiterazione del reato, sarebbe ancora alto. La Suprema Corte si era già espressa sfavorevolmente a una precedente richiesta di scarcerazione presentata lo scorso febbraio, sempre per i rischi di reiterazione del reato.
Quest'ultima istanza però, era stata presentata perché nella precedente udienza la Corte non aveva preso in considerazione la questione inerente il DNA mitocondriale, tesi che la difesa di Bossetti presenterà nel processo di primo grado, in corso davanti alla Corte d'Assise di Bergamo, e sulla quale sicuramente assisteremo a un grande scontro con la pubblica accusa. La prossima udienza del processo a carico di Massimo Bossetti è stata fissata il giorno 17 luglio.
L'impianto accusatorio della Procura
Massimo Bossetti è accusato di omicidio aggravato da sevizie, compreso delle aggravanti di crudeltà e della non possibilità di difesa da parte della giovane vittima. Inoltre, a carico del muratore vi è anche un altro capo d'imputazione, quello di calunnia nei confronti di un operaio edile, verso il quale l'imputato aveva tentato di sviare le indagini.
Nel caso del pieno accoglimento delle tesi dell'accusa, per Bossetti potrebbe esserci una condanna alla pena massima dell'ergastolo. La prova regina in mano all'accusa è quella del DNA, le cui tracce sono state ritrovate negli indumenti intimi della giovane vittima, e che dopo lunghe e complicate indagini, portarono all'individuazione del muratore.
Anche se la più importante, quella del DNA, non è l'unica prova a sostegno della colpevolezza di Massimo Bossetti. A dimostrazione della sua presenza nel luogo della scomparsa vi sono anche numerose immagini estrapolate da diverse telecamere installate sia nei pressi della palestra, sia nelle strade circostanti, che provano inconfutabilmente che la sera della scomparsa della giovane atleta il suo furgone transitò diverse volte nella zona del reato.
Inoltre, sugli indumenti di Yara sono state trovate diverse fibre, che dopo accurate analisi sono risultate provenire dai sedili del furgone del muratore. La difesa dell'imputato è sicuramente intenzionata a dare battaglia alla Procura di Bergamo, cercando di far cadere tutte le prove a carico del suo assistito in una guerra di perizie che si annuncia molto lunga.