Errori giudiziari che cambiano inevitabilmente ed irrimebiabilmente la vita di un uomo. Colpi durissimi che possono annientare volontà di vivere e dignità ma possono anche spingere a combattere per dimostrare all'opinione pubblica ed alla storia di essere stati ingiustamente condannati. Quando si vince la battaglia legale ed umana, ne subentra immediatamente un'altra, legata al diritto di avere in qualche modo risarcita, da uno Stato in errore, quella parte di vita che è stata indebitamente tolta.
La battaglia che Pietro Boero sta combattendo da quasi un decennio.
Chi è Pietro Boero
Era il 15 novembre del 1983 quando nel corso di una rapina all'ufficio postale di Asti venne ucciso Fiorentino Manganiello, 23 anni, agente di polizia. Per quel delitto, esattamente sei anni dopo, venne arrestato un altro poliziotto: Pietro Boero. Sarà condannato all'ergastolo, il primo ergastolo in base al nuovo ordinamento giudiziario italiano. Trascorrerà 28 mesi di ingiusta detenzione prima di riuscire a dimostrare la propria innocenza. Uscirà dal carcere di Alessandria nel 1994 e lo Stato gli riconoscerà un risarcimento pari ad 80 milioni di vecchie lire.
Questo è il fulcro di una vicenda che rimane parzialmente avvolta nel mistero. C'è un seguito, perchè Boero ha poi intrapreso una nuova battaglia legale per dimostrare che dietro alla sua condanna ci furono "false prove". Dopo aver raccolto documentazioni a sufficienza, nel 2007 ha presentato denuncia per calunnia, falso e frode processuale alla Procura di Milano.
'Una normativa che andrebbe modificata'
"All'epoca ho subito ben otto gradi di giudizio - ci racconta Pietro Boero - e nel penultimo i giudici, notando evidenti contraddizioni nei rapporti, decisero di convocare una perizia esterna rivolgendosi a Scotland Yard ed all'FBI. Esami che dimostrarono l'infondatezza delle accuse mosse a mio carico e la mia innocenza.
Attualmente sono in causa con il Tribunale civile di Torino per una richiesta di risarcimento pari a 2 milioni ed 800 mila euro. Il prossimo mese di novembre ci sarà il pronunciamento ma io sono già pronto, nel caso la richiesta non venga accolta, andrò ancora avanti". La domanda nasce spontanea, perchè Pietro Boero venne designato qualce capro espiatorio per l'omicidio di un collega? "La storia è molto lunga, posso dire che alla base ci potrebbero essere state motivazioni personali visto che ero praticamente il braccio destro del dottor Mario Bozzola, il pubblico ministero che fu il mio principale accusatore. Lui e tutti gli altri attori di questa vicenda, tra cui il giudice per le indagini preliminari Renzo Massobrio, dovevano trovare un colpevole a tutti i costi. Dopo l'assoluzione nel 1994, la mia battaglia è proseguita: nel 2007 ho sporto denuncia e nel 2011 mi sono appellato alla legge sulla responsabilità civile dei magistrati. In realtà i colpevoli della mia ingiusta detenzione non pagheranno per il loro errore, la vicenda è ormai prescritta. Io credo fermamente che questa normativa debba cambiare, impossibile che le colpe di chi ha condannato un innocente vadano prescritte".
'Italia nel cuore'
Quest'ultima affermazione fa parte delle cause che Pietro Boero, oggi 63enne, porterà avanti dal punto di vista politico. L'ex poliziotto lavora da diversi anni come investigatore privato ed è anche il titolare di un'agenzia professionale che si occupa di sicurezza e conta 98 dipendenti. A novembre dello scorso anno è stato il fondatore del movimento 'Italia nel cuore' insieme a Mauro Tiboni. Il prossimo 9 luglio si terrà una conferenza stampa in cui il movimento politico annuncerà la sua trasformazione in un partito a tutti gli effetti. "Inizierà qui, ufficialmente, la nostra corsa e l'obiettivo sono le prossime Elezioni Politiche che si terranno nel 2018. Da qui a quella data punteremo a crescere, cercando di denunciare altre ingiustizie come quella che io ho subito e di raccogliere consensi dagli italiani onesti che sono stanchi di come vanno le cose in questo Paese".