La notte tra il 13 e il 14 giugno del 2008 Giuseppe Uva entra nella caserma dei carabinieri. Ci resta due ore e mezza. Morirà successivamente nell'ospedale di circolo di Varese, coperto di lividi. Gli uomini delle forze dell'ordine accusati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità - sei poliziotti e due carabinieri - ieri sono stati assolti, così come richiesto dal procuratore capo di Varese Daniela Borgonovo, titolare dell'accusa. "Non poteva andare diversamente", avrebbe commentato uno degli assolti. Secondo gli imputati, infatti, "è stata fatta giustizia".

D'altra parte, aggiunge il poliziotto Stefano Dal Bosco, "eravamo tranquilli perché quella notte non è successo nulla e nessuno di noi ha commesso reati".

L'assoluzione

La Corte D'Assise di Varese ha quindi assolto gli imputati, complice la fragilità degli indizi che avrebbero provato il pestaggio avvenuto all'interno della caserma. Secondo l'accusa, infatti, "non ci sono prove di comportamenti illegali". L'indagine, secondo molti, presenterebbe diverse lacune, tanto da aver portato all'assoluzione degli otto imputati. Le colpe di queste lacune, tra l'altro, sarebbero state addossate al pm Agostino Abate, titolare dell'indagine poi trasferito dal Csm a Como. L' "accusa" di negligenza nei confronti di Abate era arrivata anche dal senatore Luigi Manconi.

In particolare Manconi aveva parlato di "un momento di verità" per fare luce sull'operato del pm nei confronti del quale l'ex ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, aveva avviato un'azione disciplinare. A dar manforte all'ipotesi anche la richiesta del gip del tribunale di Varese, che aveva infatti chiesto la riapertura delle indagini.

Abate, però, non è stato l'unico a essere allontanato dal caso.Già il 15 gennaio 2016, giorno della richiesta di assoluzione degli imputati da parte del pm Daniela Borgonovo, il legale di Lucia Uva, costituitasi parte civile, aveva dichiarato che la ricostruzione sarebbe stata smentita, visto che "un giudice" aveva già "smentito tre pm".

"Una condotta legittima"

Legittima: questa la definizione della condotta degli otto uomini delle forze dell'ordine durante il confronto con Giuseppe Uva e Alberto Biggioggero, amico della vittima nonché unico testimone di quanto successo all'interno della caserma. Un vero e proprio supertestimone - che avrebbe udito le urla dell'amico, in disperata ricerca d'aiuto - poi ritenuto inattendibile poiché "i carabinieri quella sera non hanno fatto altro che il loro dovere. Sono intervenuti per impedire che il reato portasse a più gravi conseguenze". Il tutto per dei cassonetti rovesciati e delle urla di due amici, di cui uno "alticcio".

"Proporzionato e conforme alla legge": così è stato definito il comportamento di carabinieri e poliziotti che durante la notte tra il 13 e il 14 giugno intervenirono per contenere il comportamento dei due uomini. La legge, aveva ricordato il magistrato Borgonovo, in questi casi prevede infatti l'ammanettamento e "una successiva azione di contenimento".