Finanziamento ISIS: come fanno i militanti del Califfato Islamico a garantirsi i fondi necessari per portare avanti le loro battaglie in Siria ed Iraq?I principali canali attraverso cui lo Stato Islamico paga le sue spese militari sono la vendita del petrolio e l'imposizione di tasse che gravano sulla popolazione civile sotto il controllo jihadista.

La questione del petrolio è stata quella più analizzata: secondo un rapporto del Financial Times risalente al febbraio scorso, i principali impianti di raffineria dell'ISIS sono localizzati nella provincia siriana di Deir Ezzor, dove fino all'anno passato i terroristi erano in grado di produrre tra i 34 mila ed i 40 mila barili al giorno, l'equivalente di circa 1,5 milioni di dollari giornalieri.

Negli ultimi mesi i bombardamenti della Coalizione Internazionale e le controffensive governative in Iraq, Libia e Siria hanno però ridotto di molto le vie di finanziamento ISIS. Per esempio, appena qualche giorno fa le truppe irachene sono riuscite a strappare dalle mani dei jihadisti la zona di Qayara, vicina ad un altro centro petrolifero. Oggi, il territorio gestito dallo Stato Islamico si è ridotto di oltre il 20%.

Riguardo le tasse imposte alla popolazione, più che altro parliamo di multe: secondo IHS, società che realizza analisi in ambito economico e geopolitico, a Raqqa e Mosul si può essere multati con una facilità incredibile. Per rendere l'idea, chi fuma viene multato per 15 dollari, mentre chi beve non solo paga 50 dollari, ma deve subire anche 50 frustate.

"Fondi privati dal Golfo Persico destinati all'ISIS"

A quanto pare, però, il finanziamento ISIS non si ferma qui. Ieri il la Commissione britannica degli Affari Esteri ha rilasciato un rapporto secondo cui esiste "evidenza storica" che il Califfato abbia ricevuto delle donazioni finanziarie dagli stati del Golfo Persico. Nella relazione viene portata come evidenza un incidente risalente al settembre 2014, quando un jihadista venne sanzionato dal Dipartimento del Tesoro statunitense dopo aver ricevuto due milioni di dollari in donazione dalla regione interessata.

Sebbene le conclusioni scagionino le autorità di paesi come l'Arabia Saudita, Kuwait e Qatar dalle accuse di aver donato ai terroristi ingenti somme di denaro, parallelamente viene considerata la possibilità che alcuni governi della zona "potrebbero aver fallito nel prevenire le donazioni offerte dai loro cittadini e dirette all'ISIS".Il problema principale riguarda quei cittadini estremamente ricchi e spesso vicini all'entourage di governo.

Secondo Dan Chugg, direttore della Task Force che si occupa di ISIS per l'Ufficio Esteri britannico, in passato lo Stato Islamico "sarebbe stato in grado di attirare donazioni da sunniti residenti negli stati più ricchi della regione, cioè le monarchie sunnite del Golfo Persico".

Nel momento della sua affermazione internazionale, il Califfato si presentò come una specie di scudo per i musulmani sunniti: difatti, i recenti attentati che hanno scosso l'Iraq e Baghdad sono avvenuti proprio in quartieri a maggioranza sciita.

Turchia e Golfo Persico negano finanziamento ISIS

La Turchia (anch'essa accusata in un primo momento di aver favorito l'attività dei jihadisti), così come i paesi del Golfo Persico, negano qualsiasi coinvolgimento con i militanti del Califfato, ma secondo Chugg all'inizio del conflitto con l'ISIS "c'era molta speculazione equesti stati non starebberocertamente giocando un ruolo di grande aiuto nel contrastare lo Stato Islamico".

Il rapporto britannico riconosce che nella regione sono state effettivamente implementate le misure necessarie per ridurre i canali di finanziamento dell'ISIS, ma aggiunge anche che alcuni stati regionali sono stati "molto lenti" nell'adottarle.

Nella parte finale del report si è poi chiamata la Gran Bretagna ad aiutare i suoi alleati del Golfo Persico "per garantire che essi riescano ad impedire il finanziamento dell'ISIS facendo rispettare rigorosamente le leggi locali".