Lei, una studentessa universitaria impegnata a portare a termine un lavoro di ricerca che le serviva per la tesi di laurea. Loro, docenti che avrebbero dovuto coordinare e supportare la ragazza in questa fase, altamente formativa per ogni studente. Ma la ragazza, sicuramente anche grazie ai docenti, arriva a fare una scoperta che può portare ad un nuovo kit diagnostico, utile per la diagnosi e il trattamento della sclerosi multipla. Una terribile malattia invalidante. Ma i suoi docenti fiutano l’affare, brevettano e pubblicano i risultati della ricerca senza citare, tra gli autori, proprio colei che tutto questo aveva intuito.

Dopo alcuni passaggi processuali, si è arrivato a sentenza definitiva. I giudici hanno fissato in 153mila euro il risarcimento alla ragazza – ora ricercatrice a Milano – mentre recentemente la Corte dei conti ha condannato, per danno erariale, i quattro docenti dell’ateneo fiorentino, ad un risarcimento di 77mila euro.

Alla fine ha prevalso la tenacia, in tutti i sensi

Ogni scoperta, piccola o grande che sia, non si fa distrattamente ma solo se c’è impegno, motivazione, concentrazione, sacrificio e preparazione. Altrimenti qualsiasi cosa può passare sotto gli occhi senza che uno si accorga del suo potenziale valore. Se poi tutto questo succede ad uno studente, allora giocano a suo sfavore inesperienza, timidezza e paura di andare contro chi, in quel momento, ha in mano il tuo destino: i docenti.

I docenti sono Anna Maria Papini, direttrice del laboratorio di alta ricerca Peptlab, insieme a Francesco Lolli, Paolo Rovero e Mario Chelli, tutti impegnati in attività di ricerca nello stesso gruppo. Lei, una ex-studentessa dell’ateneo fiorentino, laureatasi alla fine degli anni novanta, aveva scelto di trascorrere la sua esperienza di laboratorio, finalizzata ad una tesi sperimentale necessaria per arrivare alla laurea, nel Peptlab, diretto dalla professoressa Papini.

L’esperienza in laboratorio aveva permesso alla laureanda di individuare una proteina che poteva essere un marker utile per preparare kit diagnostici o per mettere a punto delle terapie, in una patologia piuttosto devastante: la sclerosi multipla. La ragazza si laurea e i docenti, nel 2001, decidono di brevettare questa scoperta, che porta al kit diagnostico battezzato “MS Pepkit”.

E di pubblicare i risultati. Ma la ragazza, ormai dottoressa, non viene inserita nella lista degli inventori/autori. Dopo le iniziali dimostranze, nel 2005 la ragazza decide di adire le vie legali per avere il giusto riconoscimento al lavoro svolto e dei risultati ottenuti.

Ma i docenti hanno respinto ogni pretesa e così si arriva al 2012, con una sentenza del Tribunale di Firenze che condanna l’Università a risarcire la ragazza con un importo di 153mila euro. Sentenza confermata in Appello e passata in giudicato nel febbraio del 2016, visto che l’Ateneo non ha fatto ricorso in Cassazione. Il contenzione sembrava concluso in questo modo, con un risarcimento della ragazza.

La parola al Rettore dell’Ateneo

Ma ora arriva la Corte dei conti che, per il danno erariale provocato all'amministrazione, chiamano in causa direttamente i docenti, condannati a sborsare 77mila euro. Luigi Dei, rettore dell’Università di Firenze, non vuole commentare la decisione della Corte dei conti. Anzi, si limita a dichiarare che, come sempre, anche in questo caso l’Ateneo rispetterà la sentenze e provvederà a fare quanto richiesto dai giudici contabili.

Ma questo caso è stato utile per adottare provvedimenti che, in futuro, eviteranno il ripetersi di episodi analoghi, promette il rettore. Anzi, i regolamenti che l’Università del capoluogo toscano ha adottato, in termini di tutela della proprietà intellettuale dei ricercatori, sono volti proprio a fare chiarezza sui reali contributi degli autori alle opere di ingegno. Che sono poi l’oggetto dei brevetti.