Oneri e onori di un giornalista che racconta storie con i suoi scatti dal mondo. Quando è il destino a decidere per noi, non c'è soluzione alternativa. E questo un giornalista lo sa bene, a tal punto che la consapevolezza del rischio lo accompagna e lo accompagnerà sempre. Come nel caso di #Burhan Ozbilici, fotografo professionista dell'agenzia Associated Press, che lunedì scorso, suo malgrado, è stato testimone diretto dell'attentato all'ambasciatore russo, Andrei Karlow durante l'inaugurazione della mostra fotografica sulla Kamcatka ad Ankara. Otto colpi di pistola fanno eco nei saloni della galleria adibiti per l'evento, a spararli è l'uomo che è sempre stato dietro le spalle dell'ambasciatore russo, identificato poi, in Mevlut Mert Altintas.
Burhan era lì per caso, la mostra era sulla strada di ritorno a casa dal lavoro, e decide di passare. Attrezzatura sempre pronta e presenza di spirito, hanno fatto sì che Burhan, documentasse quello che stava accadendo nel momento in cui l'attentatore ha estratto la pistola. Aveva paura Burhan, ma il diritto di cronaca gli ha imposto di documentare quello che vedeva, e senza indugio comincia la sua sequenza di scatti.
Sangue freddo
Nei momenti di forte concitazione, dove è facile commettere imprudenze, il giornalista come l'attentatore, estrae la sua arma. Quella forse più importante, quella che gli consentirà di immortalare il terrore sui volti della gente, che un minuto prima degli spari, si concentrava ad apprezzare le fotografie esposte nella salone museale.
La macchina fotografica racconta fatti, storie, raccoglie testimonianze silenziose ma eloquenti. Questo è il lavoro di un reporter, al limite del rischio, sempre consapevole di non tornare a casa, anche se stavolta la fortuna ha assistito il reporter. Un ambasciatore russo di un altro stato, in visita per motivi di stato ad Ankara parlava con toni pacati ai visitatori, raccontando i rapporti tra Russia e Turchia, fermandosi solo per dare il tempo al traduttore di capire le sue parole.
Poi, l'inferno. L'uomo venuto dalla Russia, riverso cadavere di fronte a Burhan. Le sue foto, stanno facendo il giro del mondo.
"Allah Akbar" grida l'attentatore
Affidabile e preciso, vestito di scuro con cravatta nera. Si intuiva fosse un addetto della security. Si manifesta così l'attentatore che poi si scopre essere un giovane poliziotto di 22 anni.
Prima degli spari il giovane pronuncia queste parole: "Non dimenticatevi di Aleppo, non dimenticatevi della Siria", e al grido di "Allah Akbar" comincia la sua carneficina.
"Ho fatto il mio lavoro, scattare fotografie"
Spari, urla, sangue a terra. Burhan trova riparo dietro un muro. E' spaventato, ma lucido. Non dimentica la sua funzione sociale. Non dimentica di essere un reporter. Poco prima, la sala gremita di visitatori per la mostra, poco dopo, la morte. Scoppia il terrore. Burhan prende la sua macchina fotografica e comincia a scattare. "Ho fatto il mio lavoro, sono un giornalista ma avevo paura che l'attentatore, si girasse verso di me e mi scoprisse".