bambini in prima linea, usati per confezionare dosi di droga, cocaina, hashish e marijuana, consegnarle ai pusher e spacciarle loro stessi. Alcuni erano non più grandi di dieci anni d'età, e con loro c'erano anche delle donne, tutti impegnati in attività quali spaccio ed estorsioni.

Risvolti drammatici, ma purtroppo non nuovi, emergono da un'indagine condotta dai carabinieri della Compagnia Napoli centro, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, impegnati in queste ore ad eseguire un'ordinanza di custodia cautelare a carico di 45 persone - tra cui 17 donne - tutte appartenenti al clan camorristico Elia.

Le 45 persone in fase d'arresto sono ritenute responsabili a vario titolo di reati quali associazione di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, spaccio di droga, estorsioni, detenzione e porto illegale di armi, reati aggravati dal metodo mafioso.

Efficientissimi "soldati del crimine" già a 10 anni

Dall'indagine è stato possibile ricostruire l'organigramma del clan camorristico Elia che controlla la zona di Napoli centro, dal Borgo Marinaro di Santa Lucia fino a Piazza Plebiscito e al lungomare. L'organizzazione criminale imponeva il pizzo ai commercianti della zona, ma anche ai gestori delle piazze di spaccio e ad un ristoratore costretto dal clan a fare regalie. Al servizio dei camorristi c'erano giovani ed efficientissimi "soldati", ovvero i bambini che fanno parte delle famiglie dei pusher insieme a diverse donne - forse le madri - coinvolti direttamente nello spaccio di droga.

La "stesa" dei baby boss della camorra

I carabinieri, durante l'indagine, hanno realizzato anche delle riprese, utilizzando una microtelecamera installata nella zona del Pallonetto di Santa Lucia. Dalle immagini si vedono dei giovanissimi a bordo di scooter che sparano in strada colpi d'arma da fuoco a scopo intimidatorio. Si tratta della cosiddetta "stesa", metodo antico ma "aggiornato" dalla nuova generazione criminale: giovanissimi camorristi che iniziano a sparare all'impazzata per dare un segnale di chi comanda e seminare il panico.

Si chiama "stesa" proprio perché, a chi si dovesse trovare nelle vicinanze, non resterebbe che stendersi a terra per cercare di schivare i proiettili. L'infanzia rapita e il fenomeno dei bambini armati di Napoli sono raccontati nella loro cruda verità in "Robinù", film documentario realizzato dal giornalista Michele Santoro.