Non c'è bisogno di particolari competenze geopolitiche, per capire che Kim Jong un non gradirà affatto le esercitazioni militari congiunte che sono iniziate proprio oggi tra USA e Corea del Sud. Esercitazioni denominate "Ulchi Freedom Guardian", le quali prevedono perlopiù delle simulazioni al computer, che impegneranno entrambe le potenze alleate addirittura fino al 31 agosto.
Usa: impiegati 17.500 soldati
Per tale operazione, pertanto, è previsto un massiccio dispiegamento di soldati da parte di entrambe le potenze alleate: l'America ha infatti impegnato ben 17.500 soldati, in una specie di war game che simula un eventuale attacco di Pyongyang alla Corea del Sud.
Inutile dire che l'evento ha scatenando immediatamente la reazione del regime, sempre più infastidito dai giochetti di Washington, e che ha infatti commentato sul Rodong Sinmun -editoriale nordcoreano- che tali manovre rappresentato "ulteriore benzina sul fuoco" e non fanno che aggravare la situazione, "portandola in un incontrollabile fase di guerra nucleare".
La Core del Nord risponderà?
C'è infatti la concreta possibilità che la Corea del Nord risponda da un momento all'altro allo sfoggio massiccio di militari statunitense: i generali nordcoreani, hanno infatti affermato di non digerire affatto le esercitazioni massicce degli Usa, e probabilmente si sentiranno obbligati a rispondere a tono alla sfacciataggine di Washington.
Si prevede dunque una risposta vigorosa, come vuole il regime, con nuove esibizioni di forza, magari con l'utilizzo di fuoco d'artiglieria. Infatti, considerando la propensione nordcoreana nel mostrare l'aggressività militare, non si escludono neanche ulteriori lanci, anche perché lo garbo di Seul con il dispiegamento del Thaad non è stato digerito affatto dai nordcoreani.
La 'lunga attesa' di Kim
La situazione tuttavia è ancora tranquilla, con il leader Kim Jong un che ha deciso di "osservare ancora il comportamento sciocco degli Yankee" prima di intervenire, presumibilmente con il lancio di un missile che avrebbe come obiettivo l'isola di Guam. L'avamposto militare americano fa infatti gola al leader nordcoreano, il quale lo reputa un obiettivo strategico necessario al fine di una logica militare ben ponderata a tavolino con i suoi generali.
Proprio al tal proposito, Kim aveva temporeggiato dopo "la minaccia di colpire Guam il 15 agosto", chiedendo a Washington di proporre come alternativa "un opzione appropriata". Si era dunque pensato che il leader si riferisse implicitamente proprio alla "rinuncia da parte di Washington alle esercitazioni militari con la sudcorea", cosa che a quanto pare non è avvenuta. Adesso le acque sono ancora più agitate, e anche se le suddette esercitazioni comportano prevalentemente "attività di comando e controllo simulate", si teme da un momento all'altro la reazione di Kim.