La Cina che invade la Corea del Nord e la riporta sotto la piena influenza di Pechino, così come ai tempi di Kim Il-sung, nonno dell'attuale leader, e Mao Tse-tung. Fantapolitica, ma non troppo, secondo l'illustre parere dell'ex direttore dell'Economist, Bill Emmott. La tesi è audace e parte da un presupposto: il leader cinese Xi Jinping non ama più di tanto il suo omologo nordcoreano, Kim Jong-un e lo vorrebbe volentieri fuori dai giochi, magari sostituito da un dittatore più filocinese. Una figura che qualche anno fa era stata individuata in Chang Song-taek, cognato del defunto leader Kim Jong-il e, pertanto, zio dell'attuale capo supremo del governo di Pyongyang.

Ma Kim Jong-un, molto meno sprovveduto di quanto sembra all'occidente, aveva 'fiutato' il pericolo e nel dicembre del 2013 aveva fatto arrestare l'anziano politico che venne poi processato per alto tradimento e condannato a morte. Ora, secondo Emmott, il pugno di ferro di Pechino potrebbe far cessare una volta e per tutte la crisi in estremo oriente.

L'invasione cinese vista da Bill Emmott

Bill Emott è stato recentemente intervistato da Repubblica ed ha ribadito la sua tesi. Il punto di partenza è una guerra nucleare tra Corea del Nord e Stati Uniti che porterebbe al disastro in tutta la regione, con conseguenze assolutamente catastrofiche per la pensiola coreana. Se invece Pyongyang si sottomette ai voleri di Pechino, secondo Emmott, la sopravvivenza del regime è assicurata anche se sotto un'altra guida.

"Ciò può accadere soltanto sotto la minaccia di un intervento militare cinese. Se la Cina invadesse la Corea del Nord, sostituendo l'attuale leader, conquisterebbe un'influenza enorme in tutta la regione e segnerebbe la fine dell'influenza americana nel Pacifico". Qui però Washington dovrebbe considerare questo elemento il male minore, rispetto alle minacce dell'attuale dittatore nordcoreano, perché l'azione della Cina potrebbe anche non fermarsi.

Al recente congresso del Partito Comunista di Pechino, Xi Jinping ha infatti annunciato l'intenzione di rivendicare l'espansione del suo Paese anche sulle isole contese del mare cinese meridionale, le famose acque di Spratly dove esistono numerosi atolli la cui sovranità viene rivendicata da Pechino, ma anche da Vietnam, Filippine, Malesia e Taiwan.

"Questo è vero - ha sottolineato l'ex direttore dell'Economist - così come la stessa Cina potrebbe cercare anche di estendere il controllo sulle isole Senkaku, attualmente contese con il Giappone". Tra le questioni irrisolte di quest'area geografica, c'è anche quella legata a Taiwan, la cui indipendenza non è mai stata riconosciuta dalla Cina. "In questo caso non penso che Pechino userà la forza, perché l'estensione dell'influenza in tutta l'area potrebbe portare anche alla prospettiva di una riunificazione pacifica".

La posizione della Russia di Putin

Tornando alla crisi coreana, la Russia è schierata con la Cina per una soluzione pacifica, ma la reazione di Mosca ad un'invasione cinese della Corea del Nord sarebbe probabilmente negativa.

Emmott la vede come una questione marginale. "In realtà il confine russo con la Corea del Nord è piccolissimo, ma è pur sempre un confine. A Vladimir Putin piace sentirsi coinvolto in tutte le questioni internazionali, ma qui la Cina è l'attore principale e la Russia non può certamente ripetere quanto già fatto in Siria. Magari cercherebbe di scoraggiare l'azione cinese, ma nulla più". Fermo restando che la continuità del regime di Pyongyang con una maggiore influenza cinese sarebbe certamente ipotesi più gradita al Cremlino, rispetto ad una penisola coreana riunificata e politicamente vicina agli Stati Uniti.

Trump, il 'bullo da cortile'

Secondo Bill Emmott, inoltre, l'opzione militare è davvero l'ultima che gli Stati Uniti stanno pensando di mettere in atto.

Tutto questo nonostante i continui tweet minacciosi del presidente Donald Trump. "Non penso che Trump voglia la guerra, somglia tanto al bullo da cortile che minaccia, ma poi è troppo codardo per mettere in pratica le sue parole. Potrei anche sbagliarmi - aggiunge - e potrebbe anche sbagliarsi Kim che, con le sue continue provocazioni, potrebbe mettere in un angolo 'Trump il bullo', costringendolo per forza di cose ad attaccarlo. A quel punto sarebbe la guerra".