Secondo quanto deciso del Tribunale di Roma , nello specifico dalla tredicesima sezione civile, l'Aurelia Hospital, o meglio il suo proprietario, il gruppo Garofalo, dovrà riconoscere ad una vedova di un paziente del nosocomio morto a seguito di un'infezione contratta in ospedale, un maxi - risarcimento da 1 milione di euro. Il paziente deceduto era stato ricoverato nella struttura ospedaliera per una patologia cardiaca e aveva contratto, al suo interno, tre batteri mortali.
Secondo quanto riferito dall'avvocato Marco Bona, esperto di risarcimento danni, l'importo così elevato riconosciuto alla vedova e ai figli dell'uomo, vuole compensare la perdita affettiva subita dai congiunti della vittima.
I fatti alla base della decisione del Tribunale
Il caso risale al 2009. In quell'anno, l'agente di polizia penitenziaria Giuseppe Micheli, all'epoca quarantenne, subisce un infarto per il quale viene ricoverato presso la struttura ospedaliera privata dove gli vengono applicati degli stent coronarici. Dopo qualche giorno le sue condizioni peggiorano improvvisamente e sopraggiunge anche la febbre che spinge i sanitari a ricoverarlo, immediatamente, nel reparto di rianimazione dove, alla fine, muore.
La struttura dell'Aurelia Hospital era stata oggetto, inoltre, di un'indagine della Commissione Errori Sanitari, presieduta da Leoluca Orlando, che aveva accertato il verificarsi di circa 80 infezioni ospedaliere, provocate dall'acinetobacter baumanii, solo nel periodo gennaio - settembre 2009.
Questo particolare batterio si diffonde grazie alla scarsa igiene ed è estremamente resistente a diversi antibiotici. Degli 80 casi di infezione 26 si erano conclusi con il decesso del paziente. Purtroppo Giuseppe Micheli era fra loro.
La vicenda processuale
Il processo si è protetto per molto tempo a seguito di diverse vicende.
In primo luogo, si è avuto un'avvicendamento tra i giudici del processo stesso. Infatti, il primo giudice è stato sostituito in corsa da un secondo giudice. Erano state poi presentate due perizie tecniche che avevano raggiunto conclusioni diametralmente opposte.
La prima perizia, da parte del ctu Salvatore Calabretta, affermava che la morte del Micheli era stata causata da tre batteri, Pseudomonas, Acinetobacteri Baumanii e Staphilococcus.
La seconda perizia, della ctu Anna Maria Galanti, affermava che la morte era sopraggiunta per le precarie condizioni di salute del Micheli. Ma gli avvocati della parte offesa, Katiuscia Verlingieri e Emilio Maddalena, erano riusciti a dimostrare le responsabilità dell'ospedale.
Il Giudice, Paola Larosa, ha ritenuto valide le conclusioni della prima perizia tecnica e, conseguentemente, rigettato la seconda. Per il Tribunale di Roma l'infezione è stata causata, probabilmente, da una scarsa asepsi dell'ambiente ospedaliero o da una non adeguata preparazione del paziente o dell'equipe medica che riducesse al minimo il rischio d'infezione. Era responsabilità dell'ospedale dimostrare che erano state prese tutte le precauzioni necessarie ad evitare l'infezione.
Secondo il Giudice tale prova non è stata fornita. L'ospedale ricorrerà in Appello contro la sentenza.
La situazione delle infezioni ospedaliere in Italia
Come fa notare l'avvocato Bona sentenze come questa mettono in evidenza come le strutture ospedaliere siano tenute a rispondere delle morti o delle lesioni subite dai pazienti a seguito del loro ricovero e degenza. Sta di fatto che, in Italia,ogni anno circa 500 mila persone contraggono un'infezione in ospedale e di queste 4500 muoiono. Questo incide sulla spesa sanitaria per circa 70 milioni di euro. Quindi, una vera piaga sociale a cui non ha posto rimedio neanche la riforma della responsabilità medica. È nemmeno le case farmaceutiche vengono in aiuto in quanto non ritengono l'investimento in nuovi antibiotici altamente remunerativo. Su 20 nuove specialità annunciate forse ne arriveranno sul mercato 2 o 3.