Ciò che sconcerta, oltre ai dati Istat sulla violenza di genere in Italia, sono le reazioni che leggiamo sui social network e tra alcuni commenti negli appositi spazi riservati sulle versioni online delle maggiori testate giornalistiche. Si va dalle critiche alla presidente della Camera, Lauda Boldrini, ormai sport preferito di un nutrito numero di 'smartphomani', ad altri che minimizzano i dati parlando di 'bufale della stampa e della politica'. Non mancano le accuse contro i migranti, altro passatempo frequente di una fetta del 'popolo social', da parte di chi evidenzia che questi dati sono 'offensivi' per l'Italia mentre non viene sottolineata la condizione della donna in molti Paesi islamici.

Tutto ciò è incredibile, proprio alla luce di un problema reale che investe le donne italiane, indipendentemente dal contesto. Occorre dunque scorporare la questione dalle 'fredde' cifre, perché il contesto generale espone un quadro ancora più desolante, all'insegna di indifferenza e, quel che è peggio, di un notevole regresso culturale. Forse sarebbe meglio parlare di una base culturale che non è mai progredita.

I dati Istat sulla violenza di genere

Laura Boldrini ha definito "spaventosi" i i dati relativi ai femminicidi ed alla violenza di genere nel suo complesso e non possiamo darle torto. Chi distoglie l'attenzione dal problema italiano, parlando dei Paesi arabi o di qualunque altra nazione che non sia l'Italia, appartiene purtroppo alla parte più becera della nazione.

Erano 1.400 le donne presenti nell'aula di Montecitorio in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, indetta nel 1999 dalle Nazioni Unite. Sugli scranni della Camera c'erano vittime di stupro, di violenze e soprusi domestici, di stalking. In base ai dati Istat che riguardano il 2016, in Italia sono 6 milioni e 788 mila le donne che hanno subito una violenza almeno una volta nella vita.

Il 21 % è stata vittima di abusi sessuali, il 20 % di violenze fisiche in generale, l'11 % aveva meno di 16 anni. Fermo restando che si tratta di dati relativi, perché in certi contesti di degrado sociale è quasi una prassi tacere sugli abusi subiti. Nel 2016, inoltre, sono state uccise 149 donne e ben 59 sono morte per mano del partner, marito, compagno o fidanzato.

In 17 sono state invece vittima di un ex partner, in 33 di un familiare ed in 9 di un conoscente. Soltanto 21 su 149 sono state uccise da uno sconosciuto ed in 10 da un soggetto non identificato. Relativamente a Molestie e ricatti su posto di lavoro, le donne che le hanno subite sono 1 milione e 404 mila, mentre 3 milioni e 466 mila sono vittime di stalking. Un dato che in un certo qual modo riassume i precedenti riguarda le spese affrontate dalle donne italiane nel 2016: il 16 % ha speso più denaro in farmaci, il 15 % in assistenza psicologica ed il 12 % per assistenza legale. C'è anche un 5 % costretto ad investire denaro per danni a proprietà.

Italia: lentezza legislativa e paralisi culturale

Storicamente l'Italia non è mai stato un Paese all'avanguardia nell'affrontare crimini di indubbia gravità contro le donne. Basti pensare che soltanto dal 1996 lo stupro viene considerato un reato contro la persona e non più contro la morale pubblica e ci sono voluti ben sedici anni affinché la proposta del Movimento delle donne (nata su iniziativa popolare nel 1978 e presentata due anni dopo come proposta di legge) fosse trasformata in legge dal parlamento. Ma se la macchina burocratica nella circostanza ha messo in mostra ancora una volta le sue croniche lentezze, l'opinione pubblica vive nel contempo una sorta di 'paralisi culturale' dalla quale non riesce a smuoversi.

Sedici anni per riconoscere le donne come persone dal punto di vista legislativo, c'è da chiedere quanti ne dovranno passare per scrollarsi di dosso una marcata ideologica maschilista che considera le donne, ancora oggi, come una sorta di proprietà, soggetta a dogmi morali che vanno dal vestiario, al comportamento, all'atteggiamento complessivo. Come se ogni donna fosse costretta a seguire determinate 'regole di condotta' la cui infrazione giustifica la reazione violenta da parte degli uomini. Non si spiegano altrimenti, dinanzi a determinati casi di abusi, commenti come "se l'è andata a cercare" che hanno spesso accompagnato casi di molestie e di abusi.

Da vittime ad imputate

Ciò che è scaturito dal 'caso Weinstein' negli Stati Uniti ha provocato un imprevedibile effetto domino.

Le denunce ai danni di presunti molestatori si sono moltiplicate, dal mondo dello spettacolo hanno invaso la politica, il mondo del lavoro, addirittura lo sport. Ciò ha spaccato l'opinione pubblica in tronconi da 'innocentisti' e 'colpevolisti'. "L'attrice che denuncia i falsi abusi subiti è in cerca di pubblicità", "sapeva ciò a cui andava incontro" ed anche il già citato "se l'è cercata". Frasi che, bene o male, investono numerosi casi anche esterni al mondo dello spettacolo. Alla fine, nell'immaginario di una parte della gente di cui, purtroppo, fanno parte anche parecchie donne, le donne sono quelle che "se la cercano" per un abbigiamento scelto, per un comportamento imprudente o, magari, quelle che si concedono per ottenere vantaggi.

Nel caso di Asia Argento, criticata da uomini e donne dopo le sue denunce, il nodo della questione non sono i vantaggi che avrebbe ottenuto a seguito delle richieste sessuali ricevute, ma lo stesso fatto che per avere un'opportunità è una prassi comune subire abusi da uomini che decidono in tal modo sul futuro di una donna. Prendiamo anche un altro caso, quello delle presunte violenze dei due carabinieri ai danni di due ragazze statunitensi: in molti hanno sottolineato "il disonore di chi compie tale gesto indossando una divisa", come se il problema fosse la tutela dell'onore dell'Arma e non delle vittime di abusi. Per non parlare del parrocco, rappresentante di un'istituzione religiosa, che condanna il comportamento della ragazza stuprata a Bologna.

Gli stereotipi di massa

Si potrebbe andare avanti all'infinito, ma questi pochi esempi sono indicativi su come determinati stereotipi di massa siano difficili da sradicare nella cultura dell'italiano medio. Sono invece dimostrazione di come il senso del possesso e di potere degli uomini verso le donne finisca sempre per prevalere. Sono criticabili, in tal senso, anche iniziative plateali come quella di Forza Nuova a Roma che intendeva mettere in atto le 'ronde a tutela delle nostre donne'. Un'azione che, oltre a contenere un chiaro riferimento razzista (come se il problema delle violenze riguardasse esclusivamente gli stranieri presenti nel Paese), sbandierava la tipica rivendicazione del possesso.

Ci lasciano perplesse anche prese di posizione di esponenti della cultura secondo i quali, dinanzi a manifestazioni come quella organizzata in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, ci sarebbe rischio di tutele verso gli uomini che vengono meno. La parità di trattamento tra uomini e donne è un diritto sacrosanto, ma è nel secondo caso che in Italia siamo pericolosamente in difetto. Purtroppo viviamo in un Paese di opinionisti improvvisati, al di là di quelli che lo fanno di mestiere, ed è un fenomeno che ha rotto gli argini a causa dell'uso improprio dei social network dove ci sta gente assolutamente improponibie che pretende di insegnare la morale cattolica al Papa, le regole di governo ai politici e di scrittura ai giornalisti, il calcio agli allenatori.

Un Paese dove la gente scende in piazza non solo per manifestare per i propri diritti, ma anche per ledere i diritti altrui. Alle donne si pretende ancora oggi di insegnare modelli comportamentali e regole sull'aspetto estetico, ma qui una grave colpa ricade sulle spalle di molte donne che lo accettano di buon grado e, pertanto, dinanzi alla loro immagine riflessa e decisa da uomini, si uniscono al coro inquisitorio. La dice lunga su quanto sia ancora in salita la strada verso il rispetto dei più elementari diritti civii e di una vera dignità morale e culturale.