Dolcezza e pacatezza negli occhi celesti e un sorriso libero: questo è il ritratto della 55enne Bernardetta Fella, detta 'Betta' tratteggiato dalle amiche nel giorno del suo funerale. A spegnere per sempre il sorriso dell'ex maestra, è stato l'uomo con cui aveva tentato di risalire la china di una vita difficile. Tutto finito con un femminicidio, un caso di cronaca scioccante. Nel giugno 2016, il suo convivente, il 50enne Armando Canò, l'ha strangolata per poi nascondere il corpo in un grosso frigorifero in disuso posizionato nella cantina dell'abitazione in cui vivevano a modena.
Oggi il tribunale ha emesso la sentenza di primo grado nei confronti di Canò, accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Grazie al rito abbreviato che consente uno "sconto" di un terzo della pena, l'omicida reo confesso è stato condannato a 18 anni di reclusione, più altri tre di libertà vigilata.
I fatti
Come spesso accade in queste storie, prima dell'esito tragico, c'erano stati maltrattamenti, denunce e angherie psicologiche che avevano impedito alla vittima di lasciare il compagno divenuto il suo aguzzino. Proprio al termine dell'ennesima lite, nel giugno 2016 lui l'ha strangolata. Poi ha pensato di sbarazzarsi del corpo nascondendolo in un frigo privo di corrente di una cantina della palazzina dove vivevano.
I vicini, allarmati da un odore insopportabile proveniente dagli scantinati, avevano chiamato i vigili del fuoco che scoprirono il cadavere della povera Bernardetta Fella in avanzato stato di decomposizione nella palazzina nel quartiere Madonnina di Modena dove i due vivevano. Canò dopo un pressante interrogatorio durato una notte, aveva confessato il delitto sostenendo che fosse lei a non volerlo lasciare.
Una relazione difficile
Bernardetta, divorziata, soffriva di esaurimenti nervosi e per vivere contava sull'aiuto degli assistenti sociali. Per questo, aveva conosciuto l'ex manovale con precedenti per reati contro il patrimonio, al centro di salute mentale. Ma la storia era contraddistinta da alti e bassi, liti con percosse, denunce, riappacificazioni.
Poi lui si era trasferito a Castelfranco a casa della nuova compagna, dove è stato arrestato, rintracciato con addosso le chiavi dell'appartamento e della cantina della vittima.
Perizia tecnica e sentenza
L'uomo era risultato essere ubriaco al momento dell'omicidio. Nel corso del processo, per chiarire il punto tanto controverso quanto cruciale, la procura ha commissionato una perizia a una psichiatra sopra le parti per poter delineare lo stato mentale dell'uomo. La relazione, oltre ad alcuni test a cui l'uomo è stato sottoposto, ha stabilito che Canò era in grado di intendere e volere al momento dell'omicidio, e pertanto sapeva cosa stesse facendo, a dispetto dei problemi etilici per cui in precedenza era stato affidato ai servizi, e di pianificare tutti i momenti dopo il crimine.
La difesa si era incentrata, invece, sull'etilismo cronico dell'uomo e sul fatto che si fosse trattato di un delitto preterintenzionale. L'accusa, rappresentata dal PM Katia Marino, aveva chiesto 17 anni, tenendo già conto della riduzione della pena che il rito abbreviato consente. Il giudice del tribunale di Modena, Andrea Romito, oggi ha condannato Canò, detenuto nel carcere dei Piacenza, a 18 anni di carcere. Altri tre dovrà scontarli in regime di libertà vigilata. Per i due figli che Betta aveva avuto dall'ex marito, il tribunale ha stabilito una provvisionale da 30mila euro per ciascuno, mentre il risarcimento andrà stabilito in sede civile. I legali di Canò hanno già annunciato il ricorso in appello. Il rito abbreviato non gli basta.