Un grande passo avanti è stato appena compiuto dalla scienza ad Oakland, in California: Brian Madeux, 44 anni, affetto dalla sindrome di Hunter, è stato sottoposto ad una terapia mirata a correggere un gene al fine di curare la sua malattia. Per la prima volta l'intervento è stato fatto direttamente sul DNA dell'individuo e non su cellule isolate in laboratorio.

Un tentativo privo di certezze ma ricco di speranza, i cui esiti si sapranno con sicurezza tra circa tre mesi. I medici hanno parlato chiaro: se l'intervento non andrà a buon fine non potrà essere corretto.

Cosa ha spinto Brian, nonostante le incertezze, a sottoporsi a questo intervento diretto sul DNA? “Voglio correre questo rischio, spero che possa aiutare altre persone” spiega, consapevole di non poter risolvere i danni che fino ad ora la sua malattia ha provocato al suo organismo ma speranzoso di non subirne ulteriori d'ora in poi.

Cos'è la sindrome di Hunter?

Si tratta di una patologia molto rara, conosciuta anche come mucopolisaccaridosi di tipo 2, la cui trasmissione è legata al cromosoma X. Questa sindrome danneggia progressivamente l'organismo in quanto causata dalla mancanza dell'enzima L- iduronato-2-solfatasi, avente la funzione di catabolizzare alcuni mucopolisaccaridi, costitutivi del tessuto connettivo dell'organismo umano; la sua mancanza porta all'accumulo di queste molecole nei lisosomi delle cellule, con conseguenti danni.

L'aspettativa di vita, per un individuo affetto da sindrome di Hunter, varia dai 10 ai 60 anni di vita a seconda della gravità del caso.

Cosa può fare l'editing genetico?

Non è stata utilizzata la Crispr - la tecnica più moderna di editing genetico - per intervenire sul genoma di Brian Madeux, bensì quella delle “nucleasi a dita di zinco”.

Luigi Naldini, medico e direttore di Telethon, spiega così di cosa si tratta: “Le zinc-finger nucleasi sono delle proteine artificiali costruite in laboratorio con due porzioni distinte: una in grado di riconoscere e legarsi ad una precisa sequenza di lettere sul DNA, l’altra di tagliare il DNA e di mettere così in moto i normali meccanismi riparativi da parte della cellula che possono ricopiare nel sito del taglio una sequenza corretta”.

Naturalmente questo procedimento non è privo di rischi, il genoma potrebbe venire alterato in modo errato portando all’insorgenza di complicazioni o nuove patologie; il caso di Brian Madeux è stato analizzato scrupolosamente, è stata fatta un’accurata valutazione dei rischi prima di decidere con il diretto interessato di intervenire con una tecnica di editing genetico. Ora non rimane che aspettare i risultati. Sarà valsa la pena di fare questo tentativo? Ancora non lo sappiamo, ma una cosa è certa: se questa terapia desse gli esiti sperati, per i pazienti affetti da sindrome di Hunter rappresenterebbe la fine di grandi sofferenze.