È meglio un'innocente bugia o un'atroce verità? Secondo il Conflict Armament Research, la seconda scelta è di gran lunga la più importante. Questo il motivo per cui, dal 2014 ad oggi, il CAR si è dedicato anima e corpo a trovare la risposta a una domanda parecchio scottante: da chi è finanziato lo Stato Islamico?

Il rapporto offre un'analisi di oltre 40.000 armi appartenute all'ISIS tra 2014 e il 2017. Nella lista figurano armi da fuoco, munizioni, componenti tracciabili e ordigni esplosivi. Con la forte cooperazione dei governi nazionali, il CAR ha tracciato molti di questi articoli per stabilire da dove provenissero gli strumenti colpevoli della morte di milioni di persone in Iraq e in Siria.

Alcuni dati presenti in questo rapporto sono la base di diversi procedimenti penali, tra cui indagini della polizia belga sulle forniture degli esplosivi.

Il rapporto ha portato a scoprire che circa il 90% di armi e munizioni schierati dallo Stato Islamico provengono dalle nazioni che hanno aderito anche al Patto di Varsavia - principalmente Cina, Russia e stati dell'Europa orientale. Armi e munizioni della NATO sono molto meno diffuse, essendo rispettivamente il 3% e il 13% del totale. Altro tasto dolente è la ritrasmissione non autorizzata, ovvero il consenso di una nazione ad esportare armi a nazioni o gruppi considerati terroristici o illegali. Gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita hanno fornito la maggior parte di questo materiale ai ribelli siriani, senza autorizzazione dell'ONU.

Le armi rivendute sarebbero state acquistate da USA e Arabia Saudita presso il "mercato" degli stati dell'Est Europa.

Chi appoggia chi?

Arriviamo però alla domanda da un milione di dollari: chi alimentava le truppe dell'ISIS? La risposta potrebbe non sorprendere. Russia e Cina, da sole, offrivano ai terroristi più del 50% di armamentario.

Il rimanente 30% proveniva, come già detto, da un mercato illegale con sede nell'Europa dell'Est. Tra i colossi ex-sovietici che più vendono, Bulgaria e Romania.

Tra le altre nazioni che più si sono macchiate di aver alimentato il mercato nero delle armi da fuoco, troviamo la Libia - che per due anni ha alimentato i porti in mano alle forze d'opposizione siriana -, il Sudan, principale fornitore di armi a lunga gittata a ogni tipo di organizzazione criminale in Medio Oriente, e la Turchia, pronta a passare sottobanco ogni genere di proiettili di piccolo e grosso calibro allo Stato Islamico.

Altre nazioni che in misura minore hanno contribuito allo sviluppo del conflitto in Siria sono: Iran, Libano, Pakistan, Austria, Polonia e Azerbaigian. Si aggiungono alla lista Albania, Turchia, Macedonia, Bosnia ed Erzegovina. Tutte nazioni, ricordiamo, candidate ad entrare nell'UE.

Esplosivi fai-da-te

Resta degna di nota la produzione "casalinga" dello Stato Islamico, che ha cercato di autoprodursi soprattutto nel campo dei plastici e delle bombe. In questo caso particolare, è stato il mercato interno turco ad aver fornito gran parte dei nitrati e della pasta di alluminio necessari allo scopo. Gli ingredienti preziosi, smerciati dalla Turchia, comprendevano spesso materie prime provenienti da Brasile, Cina, Romania.

Il nitrato, un materiale destinato all'uso agricolo, è stato esportato dalle compagnie del governo turco senza alcun problema, essendo legalmente registrato come materiale da fattoria. Certo è che, in pieno conflitto siriano, gli ispettori della dogana avrebbero potuto chiedersi come mai il commercio turco di tali prodotti fosse aumentato del 260% in un anno.

Anche l'Italia ha le sue colpe

Strano ma vero, anche la nostra penisola ha partecipato indirettamente al conflitto ISIS-Siria. L'arma del delitto è un carico di 12 tonnellate di fertilizzante biochimico, chiamato Biolchim. Il prodotto, a uso agricolo ma destinato a produrre esplosivi, è partito da Medicina, paese del Nord Italia, nel 2013.

La destinazione era Amman, in Giordania. La compagnia che ha acquistato il prodotto, ha poi esportato a sua volta il futuro esplosivo a Baghdad. Il destinatario, ovvero lo Stato Islamico, ha ricevuto il regalo italiano nel giugno del 2016. Vero è che non è stato direttamente lo stato italiano a fornire l'armamentario ai terroristi islamici. Il fatto più grave però resta la mancanza di controlli necessari che avrebbero potuto fermare il carico destinato al peggiore degli scopi: uccidere persone innocenti.