“La nostra prima preoccupazione è la sicurezza del nostro staff”. Si tratta di una delle frasi contenute nell'aggiornamento delle h 9.00 di questa mattina, sulla pagina facebook di Save the Children Italia, a seguito della notizia di un attacco alla sede di Jalalabad, in Afghanistan, dove l'associazione è presente dal 1976 in ben 16 province del paese.
volontari impegnati in progetti volti alla protezione di coloro che non sono in grado di difendersi, i bambini, attraverso interventi per contrastare la povertà dei più piccoli e delle loro famiglie, raggiungendo 1,4 milioni di bambini (dati Save The Children).
Salute, nutrizione, educazione e protezione, questi gli ambiti di intervento dell'associazione, ribaditi nel secondo aggiornamento della mattinata.
Gli sviluppi
Alle h 13.24, la comunicazione della sospensione di tutte le attività dell'associazione nel paese, ma ancora incertezza. Qualche ora fa la conferma: tre membri dello staff uccisi e altri quattro feriti. Il rosso dell'associazione è stato sostituito dal nero del lutto e del cordoglio su tutti i canali di comunicazione di Save the Children. Le ultime notizie parlano tuttavia di ben 6 morti e 24 feriti (tgcom24) causati dal kamikaze che si è fatto esplodere all'ingresso della struttura, consentendo ai 5 terroristi del commando di entrare e assediare la sede per oltre 10 ore.
Quarantacinque i membri dello staff liberati in queste ore, mentre non si è fatta attendere la rivendicazione dell'Isis che parla di “attacco contro le fondazioni britanniche e svedesi e le istituzioni afghane”.
I rischi
Una professione, quella dell'operatore umanitario “sottoposta a molti pericoli” – come sosteneva nel lontano 2006 l'allora segretario generale Onu, Kofi Annan – che miete vittime da ogni parte del mondo: il bilancio al 2016 faceva registrare 1.451 operatori morti in 19 anni, uccisi durante lo svolgimento del proprio lavoro (dati Aics).
Una situazione tesa a peggiorare nel 2017, quando il 9 febbraio sono stati uccisi sei impiegati della Croce Rossa, con la scomparsa di altri due, tutti impegnati in Afghanistan a portare beni di prima necessità nella zona nord del paese colpita dalle valanghe. Altri sei volontari Cri uccisi ad agosto a Gambo, nel sud-est della Repubblica Centroafricana, durante una strage di cristiani, ma il bilancio non si ferma: una delegata del Comitato internazionale Cri uccisa l'11 settembre in Afghanistan, a poca distanza da un altro collega dell'Icrc ucciso in Sud Sudan.
Ancora solidarietà e sdegno a ottobre dello scorso anno quando quattro operatori umanitari della Mezzaluna Rossa Somala sono morti durante le violente esplosioni a Mogadiscio, in cui persero la vita circa 200 persone.
Vite al limite di una umanità senza confini, vite di chi ha scelto di restare dall'altra parte della barricata, consapevoli delle difficoltà, consapevoli dei rischi, ma consapevoli di non voler essere in nessun altro luogo se non quello dove poter portare aiuto. Uomini e donne preparati per prestare soccorsi, formati per prevedere e fronteggiare le emergenze, persone che partono e lasciano storie di vita in attesa del loro ritorno, e che per questo motivo, per voler essere là dove nessuno vorrebbe trovarsi, meritano e necessitano di un inviolabile diritto, quello alla protezione, perché anche chi offre protezione agli altri deve veder garantita la propria.