Sono ormai passati trent'anni da quando Liliana Segre, classe 1930, ha cominciato la sua missione di ambasciatrice nelle scuole con il nobile e doloroso compito di portare la sua testimonianza dell'orrore della Shoah, la deportazione degli ebrei a causa delle leggi razziali.

Deportazione di cui lei e milioni di altre persone furono vittime durante il periodo fascista, il delirio fascista e a cui riuscì a sopravvivere dopo aver perso nel lager di Auschwitz tutti i suoi cari.

Una testimonianza dolorosa

Nata a Milano nel 1930, in una famiglia ebrea laica, rimase senza la mamma, Lucia Foligno, quando aveva appena un anno.

Si presero cura di lei suo padre, Alberto, e i nonni paterni, Olga Loevvy e Giuseppe Segre. Ben presto sperimentò il peso delle leggi razziali fasciste. Nel 1938 venne cacciata dalla scuola e con il crescere delle persecuzioni degli ebrei italiani fu costretta a nascondersi a casa di amici sotto falsa identità. Nel 1943, dopo aver tentato la fuga in Svizzera con il padre e alcuni suoi cugini, venne imprigionata a Selvetta di Viggiù, in Provincia di Varese. Dopo sei giorni di prigionia a Varese venne portata prima nel carcere di Como e poi di Milano, dove rimase per quaranta giorni.

Di questi giorni ha dei ricordi atroci, ma quello che più colpisce è il racconto delle interminabili attese in cella, quando il padre veniva portato via per i terribili interrogatori.

Passava il tempo a leggere terrorizzata le scritte sui muri della cella fino al suo ritorno. 'Ricordatevi di me', leggeva e aspettava ore per poter riabbracciare il padre, che a volte la notte si inginocchiava accanto alla sua brandina e si scusava per averla messa al mondo. Aveva solo tredici anni.

Aveva solo tredici anni quando alla stazione di Milano, il 30 gennaio 1944 insieme alla famiglia fu costretta a salire sul treno che dal famigerato binario 21 la porta al campo di sterminio nazista di Auschwitz.

Aveva solo tredici anni quando le marchiarono sul braccio il numero di matricola 75190.

Arrivata ad Auschwitz dopo sette giorni di un viaggio infernale, dovette subito dire addio al padre, dal quale fu separata perché destinata alla fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens.

Non vide più il padre, che morì prigioniero nel lager nel 1944.

Nello stesso anno nel lager di Auschwitz furono deportati e uccisi anche i nonni paterni.

Quando nel gennaio 1945 l'Armata Rossa arrivò vicino ad Auschwitz l'esercito nazista abbandonò il lager trascinandosi dietro gran parte dei prigionieri. Questi spostamenti sono tristemente noti come le 'marce della morte', perché i deportati venivano spostati da un lager marciando a piedi per centinaia di chilometri.

Così Liliana Segre fu portata da Auschwitz a Ravensbruck, un lager vicino Berlino. Poco prima della resa nazista fu liberata. Dei quasi ottocento ragazzi italiani, minori di 14 anni, si salvarono solo in 25. Una era Liliana Segre.

Finita la guerra, rimasta orfana, visse con i nonni materni fino al matrimonio con un avvocato cattolico, anche lui deportato nel 1943 perché con altri seicentomila militari italiani si era ribellato alla Repubblica sociale.

La memoria antidoto contro l'indifferenza

Fino agli anni '90 Liliana Segre non ha mai raccontato in pubblico l'orrore della sua deportazione ad Auschwitz. Ha poi deciso di portare la sua testimonianza sulla Shoah, raccontando anche la storia di tutti quelli che avevano vissuto la sua stessa esperienza, ma non hanno trovato la forza di parlare della tragedia vissuta sulla propria pelle.

Perché la memoria, afferma, è un prezioso antidoto contro l'indifferenza e serve a risvegliare le coscienze. Per non dimenticare quello che è successo, per colmare il silenzio spaventoso del mondo che non si è accorto di quello che stava succedendo, ora sente il dovere di testimoniare quello che è stato, per tutti quelli che non possono più parlare.

Per questo ruolo di testimone della tragedia dell'olocausto è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.