Nelle ultime settimane sui Social Network (e non solo) si è molto dibattuto circa l'entrata in vigore del nuovo provvedimento che impone ai consumatori il pagamento dei sacchetti di plastica utilizzati al supermercato per l'acquisto di frutta e verdura sfuse. La nuova legge recepisce una Direttiva Europea del 2015. Vediamo cos'è successo:
Cos'è una direttiva?
La direttiva è un tipo di atto legislativo che l'Unione Europea adotta per fare rispettare i propri trattati. A differenza del Regolamento, impone agli Stati Membri uno scopo, lasciando il Paese libero di decidere come raggiungerlo.
All'interno della stessa è anche imposto un limite di tempo entro il quale ogni Stato è obbligato a recepire, tramite una legge di conversione, la Direttiva Europea.
Il limite temporale è tassativo, e se non rispettato può dare luogo ad una procedura d'infrazione che a sua volta potrebbe sfociare in una sanzione in denaro a carico del paese incriminato. Nel nostro caso, la Direttiva d'interesse è la n.720 del 2015, e l'obiettivo è la riduzione dell'inquinamento "da sacchetti".
Cosa dice la Direttiva n.720 del 2015
Riassumendo, la direttiva stabilisce che:
- l'utilizzo dei sacchetti in plastica sta aumentando a dismisura l'inquinamento ambientale;
- l'attuale modalità di riciclo degli stessi non è, fino ad ora, servita ad arginare tale fenomeno;
- gli Stati Membri dovrebbero, di fronte a queste evidenze, disincentivare l'utilizzo delle borse di plastica in "materiale leggero", con ciò intendendo quelle borsine con spessore inferiore a 50 micron. Questo, secondo il testo legislativo, potrebbe avvenire tramite l'adozione di misure che limitino il numero dei sacchetti pro-capite, oppure evitando di fornirli gratuitamente presso i punti vendita.
Un appunto va fatto per le cosiddette borsine in "materiale ultraleggero", cioè al di sotto dei 15 micron: queste possono, e la scelta è lasciata alla singola nazione, essere incluse o escluse dal perimetro di applicazione delle misure sopra indicate.
La legge italiana sulle borsine
Come detto prima, una Direttiva europea necessita di una legge di conversione. Per l'Italia si è trattato della Legge n.123 del 2017 che, nell'intento di raggiungere gli scopi dettati dall'Unione Europea, introduce ed innova una serie di disposizioni volte alla promozione del recupero e riciclo degli imballaggi in plastica, nonchè alla cooperazione di enti pubblici e privati a tale scopo; definisce inoltre una serie di parametri di spessore e percentuale di plastica riciclata al di fuori dei quali la commercializzazione delle borse di plastica viene ritenuta vietata.
Altrettanto vietata è, secondo la lettera del Testo Unico sull'Ambiente (D.Lgs. n.152/2006) così come modificato dalla Legge n.123, la distribuzione a titolo gratuito delle borsine di plastica in materiale leggero, ad eccezione di quelle biodegradabili e compostabili.
Seguendo nella lettura della normativa in materia ambientale, si nota come il legislatore italiano abbia optato per l'estensione del divieto di distribuzione gratuita anche alle borsine in materiale ultraleggero, per le quali vi era facoltà di esclusione dall'attuazione delle misure di contrasto all'inquinamento.
Infatti proprio agli ultraleggeri è dedicato il nuovo articolo 226-ter del Testo Unico, che oltre alla totale biodegradabilità e compostabilità delle borsine con spessore inferiore ai 15 micron ed alla riduzione del consumo delle stesse, statuisce al comma 5 che "Le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d'acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite".
Tradotto in non-giuridichese, le borsine per frutta e verdura (che sono proprio quelle con spessore definito "ultraleggero"), devono essere pagate dal consumatore, e sullo scontrino deve risultarne il prezzo.
Il costo applicato all'utente finale può essere anche inferiore di quello sostenuto dal supermercato o punto vendita.
Ridurrà davvero l'inquinamento?
Al di là delle polemiche sull'aumento di prezzo e di quelle sul presunto interesse economico dell'ex Presidente del Consiglio Renzi (e relativi amici), la disciplina europea è volta al miglioramento delle drammatiche condizioni ambientali createsi a causa del sovrautilizzo da plastica. In tal senso, Legambiente sembra approvare pienamente; il direttore generale Stefano Ciafani ha dichiarato sul sito dell'associazione che: "l'innovazione ha un prezzo ed è giusto che i bioshopper siano a pagamento, purché sia garantito un costo equo che si dovrebbe aggirare intorno ai 2/3 centesimi a busta (...).
Auspichiamo che l'Italia continui a seguire, con impegni e azioni concrete, la strada tracciata in questi anni e la strategia messa a punto, basata sulla corretta gestione dei rifiuti da parte dei comuni, l'economia circolare promossa dalle imprese e il contrasto al marine litter, (...) e infine una maggiore tutela e salvaguardia dell'ambiente marino e della biodiversità". Ma non mancano pareri contrastanti.