Si allarga a macchia d’olio lo scandalo che in Gran Bretagna sta travolgendo la Oxfam, una delle principali organizzazioni non governative impegnate in molte emergenze umanitarie in tutto il mondo. Il caso si è infiammato con le testimonianze di personaggi legati all’associazione, ed in particolare con le rivelazioni al Times di una “gola profonda”, Helen Evans, che dal 2012 al 2015 è stata dirigente dell’associazione con il ruolo di garante per la tutela delle norme di comportamento.

I nuovi episodi di violenza

Sono tanti gli episodi emersi: era già noto che durante la missione ad Haiti, in seguito al terremoto che ha devastato il Paese nel 2010, ci sarebbero stati festini a luci rosse in cui i funzionari dell’organizzazione avrebbero coinvolto anche diverse giovani escort, tra le quali alcune probabilmente minorenni, pagando con fondi dell’Ong.

Gli episodi avevano portato ad un’indagine interna nel 2011, che si era conclusa con le dimissioni del responsabile di quell’operazione, Roland van Hauwermeiron, e con quattro licenziamenti, ma nessuna conseguenza penale. Ma ora la nuove rivelazioni portano alla luce diversi altri casi di violenze: si va dalle molestie sessuali subite da una volontaria 14enne da un dipendente adulto in un negozio di beneficenza gestito dall’associazione in Gran Bretagna, ad un presunto caso di stupro di una donna da parte di un operatore nel Sudan del Sud.

Finanziamenti a rischio

I dati elencati dalla Evans sono davvero preoccupanti: solo nel 2014 il 7% dei dipendenti di Oxfam in Sud Sudan hanno subito tentativi di violenze oppure sono stati violentati.

Ma il rischio lo corrono anche i molti stagisti, in gran parte minorenni, che lavorano nei negozi dell’Ong in Gran Bretagna. Una situazione che ha allarmato le autorità britanniche che elargiscono 32 milioni di sterline all’associazione: subito è partita un’inchiesta da parte della Charity Commission. Anche l’Unione Europea, che a sua volta vi destina fondi per 27 milioni di sterline, si sta muovendo per chiarire la situazione.

Le gravi accuse hanno già portato alle dimissioni della numero due dell’organizzazione, Penny Lawrence, vice direttore esecutivo che si è assunta la piena responsabilità per quanto accaduto ad Haiti, esprimendo “tristezza e vergogna” per non essere intervenuta tempestivamente. Ma non sarebbe l’unica testa a cadere: dalla testimonianza emerge che anche il Chief executive Mark Goldring era stato informato in prima persona degli abusi avvenuti negli ultimi anni, ma aveva evitato di prendere provvedimenti concreti, arrivando a cancellare un incontro che doveva finalmente affrontare la questione.

Il grave danno di immagine dell’Ong ed il rischio di perdere gran parte dei finanziamenti potrebbero portare ad una reazione drastica, seppur tardiva, con l’azzeramento dei vertici e un inasprimento delle misure di sicurezza per evitare ulteriori violenze.