Eccoci in italia, patria delle raccomandazioni, dove per accedere ad un posto di lavoro, partecipare ad un'asta, ottenere un qualsivoglia favore, la mazzetta è spesso d'obbligo. Tanto siamo abituati a questo modus vivendi da non stupirci se la prassi sia questa quasi ovunque, e se si debba "pagare dazio" per arrivare ad ottenere ciò che si vuole.

Transazioni illecite per il nostro Codice Civile

Se per i comuni mortali il "pagamento" per una raccomandazione rientra nel consueto, per la legge prevale "in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis".

Questo notissimo "brocardo romanistico", derivato direttamente dalle fonti romane, è enunciato soprattutto in due testi: Il Codice Giustiniano, ed il Digesto. Dal diritto romano è passato senza problemi nel diritto comune e poi, come risulta dall'art. 2035 c.c., ha trovato accoglimento nella nostra legislazione. In pratica esprime il principio che la transazione che avviene tra due persone, quella che chiede una raccomandazione e chi gliela promette, dietro pagamento di una determinata somma di denaro, è da ritenersi in contrasto con la morale e con il buon costume configurando per entrambi lo stesso livello di "turpitudine" comportamentale.

Nella stessa condizione di immoralità è preferibile la condizione di chi possiede

Con questa asserzione si evidenzia che, in quelle circostanze in cui due persone si trovano nella medesima condizione di immoralità, chi si ritrova nella posizione di possesso è in vantaggio, non costituendo nessun aiuto la confessione di chi, per ritornare in possesso di quanto dato, ammette la sua immoralità.

Quindi a norma della citata disposizione, quando la transazione costituisce offesa al buon costume, non può essere richiesto quanto pagato.

E' successo ad un padre napoletano

Il Signor Francesco B., di Torre Annunziata, in provincia di Napoli, con una figlia da sistemare e la garanzia fornitagli da un amico di riuscire a piazzarla men che meno che in banca, non ha esitato a sborsare di tasca propria a questa persona di fiducia, Francesco L.M., la bella cifra di 20 mila euro.

La figlia Maria Luisa avrebbe dovuto trovare impiego al Banco di Napoli, con grande gioia della famiglia. Purtroppo per lui le cose non sono andate così. Il poveretto si è trovato ad essere vittima di una truffa e per questo si è rivolto al tribunale di Torre Annunziata, denunciando il vanaglorioso amico.

Dopo due gradi di giudizio la Cassazione ha detto no

Se nel corso della causa civile, in primo grado di giudizio il tribunale aveva espresso parere negativo alla restituzione dei 20 mila euro versati, la Corte di Appello di Napoli aveva invece ribaltato la sentenza, dando la speranza al padre di poter tornare in possesso del suo denaro, pagato inutilmente. Purtroppo ora la Cassazione ha definitivamente posto una pietra tombale sull'argomento accogliendo il ricorso del millantatore che non è tenuto a restituire il denaro poichè entrambi risultano complici di un comportamento immorale, e se pur "la spintarella" non ha esordito a nulla, lo si condanna solo al pagamento della metà delle spese processuali. Insomma "chi ha dato a dato, e chi ha avuto ha avuto".