Una lunga fila di auto parcheggiate, bambini che giocano allegri, mentre gli adulti perlustrano le macerie, scattano delle foto ricordo e si organizzano per un picnic all’aria aperta. Sembra la descrizione di una qualsiasi meta turistica durante la Pasquetta, invece è lo sconcertante spettacolo a cui hanno assistito i parenti delle vittime della tragedia dell’hotel rigopiano, saliti nel luogo in cui si trovava la struttura alberghiera distrutta da una valanga il 18 gennaio del 2017. Nel giorno del lunedì dell'Angelo volevano ricordare i loro cari, che avevano trovato la morte in quei luoghi; invece hanno trovato diverse decine di turisti sciacalli, pronti a violare i sigilli ed oltrepassare le recinzioni disposte dalle forze dell’ordine a difesa di quel che resta dell’edificio, per compiere una macabra gita.

La fuga dei turisti sciacalli

Si è così ripetuto quel fenomeno di turismo macabro che sempre più spesso accompagna in Italia tutte le tragedie e i delitti a cui i media dedicano molta attenzione. Ma questa volta i familiari delle vittime hanno reagito, chiamando i carabinieri. Gianluca Tanda, che ha perso il fratello Marco nella tragedia, descrive quel che è accaduto: “Quando hanno visto le forze dell’ordine sono fuggiti via, anche se poi in trenta sono stati identificati; adesso spero che per loro ci siano sanzioni esemplari”. Già durante l’estate numerosi sciacalli travestiti da turisti si erano avvicinati a quel che resta del Resort di Farindola, tanto che – dopo le numerose proteste – le autorità locali avevano cercato di impedire l’accesso all’area; ma l'afflusso di gente è continuato tranquillamente, tanto che la recinzione è stata quasi del tutto divelta.

La recinzione divelta dai curiosi

“Quella rete praticamente non esiste più; così i curiosi si spingono anche dove noi non vogliamo entrare per rispetto dei nostri cari” aggiunge Tanda, sottolineando come questi amanti del “turismo sciacallo” potrebbero arrivare a danneggiare le indagini, visto che nei luoghi dove 29 persone trovarono la morte dovrebbero trovarsi ancora elementi utili a fornire prove fondamentali sull’accaduto, come telefonini, telecamere e documenti.

La bonifica di quei resti non è mai cominciata per i soliti motivi burocratici, nonostante gli appelli dei parenti delle vittime, che adesso chiedono che i ruderi siano posti sotto controllo, almeno nei periodi festivi. Sarebbe giusto evitare che altri portino i propri figli piccoli a giocare in quello che, per i congiunti di chi vi ha trovato la morte, resta un memoriale, una sorta di cimitero.