Roma - A Tor Bella Monaca, quartiere difficile della periferia est della Capitale, la scorsa notte sono stati rimossi alcuni murales dedicati a due esponenti di spicco della malavita locale: Serafino Cordaro e ad Antonio Moccia. Virginia Raggi, sindaca di Roma, qualche settimana fa l'aveva promesso: “Cancelleremo i murales e riporteremo nel quartiere la legalità". Il primo passo è stato fatto: 120 agenti della polizia di Roma Capitale ed una sessantina di uomini appartenenti all'Arma dei Carabinieri e alla Polizia di Stato hanno cancellato i simboli del potere infinito della malavita e dello Stato che non c'è.

I boss e i murales

Mentre Tor Bella Monaca dormiva - o faceva finta di dormire - gli agenti di Antonio Di Maggio, dirigente della Polizia Municipale, coadiuvati da carabinieri e poliziotti, hanno lavorato per ore per rimuovere "le opere pittoriche" nelle vicinanze del caseggiato popolare R9 dell'ATER e lungo il muraglione di via Amico Aspertini. Il murales di via Quaglia era dedicato a Serafino Cordaro ed era accompagnato dalla scritta “il nostro angelo”. Era spuntato nel febbraio 2013; solo pochi giorni prima il boss - padrone del quartiere e re dello spaccio locale - era stato ucciso (per ordine di Stefano Crescenzi). Il murale, divenuto presto un simbolo, diceva a tutti chi comandava: i Cordaro, non i Crescenzi, né nessun altro.

Pazienza se nei mesi successivi i feriti non si contavano, ci è scappato un altro morto e i Carabinieri, nel corso di tre blitz, hanno sequestrato 3 milioni di euro e arrestato 37 persone.

Il murales di via Amico Aspertini, invece, era dedicato ad Antonio Moccia, figlio del boss di Afragola, Vincenzo Moccia (altro "imprenditore della droga"), morto nel settembre 2012 in un incidente stradale.

A notte fonda, finalmente, è tutto finito e, forse, un primo passo verso il ripristino della legalità è stato compiuto. Virginia Raggi, soddisfatta del lavoro fatto, ha assicurato che ora si provvederà a presidiare il territorio.

Davano prestigio ai criminali

A proposito dei murales, Michele Prestipino, procuratore aggiunto, davanti alla commissione d’inchiesta sulla sicurezza delle periferie, aveva affermato che non era "l'opera" in sé e per sé a preoccuparlo, ma quello che voleva rappresentare, ossia una dimostrazione di un determinato profilo identitario, un potere mafioso che impoverisce e depreda sfruttando le fragilità e bloccando qualsiasi sviluppo positivo.

Prestipino ha fatto notare che è grave che i murales siano rimasti lì, a Roma, per anni, senza che nessuno, prima della scorsa notte, si sia sentito in dovere di rimuoverli. Quei graffiti, infatti, hanno rappresentato per i boss motivo di grande prestigio criminale.