Ci troviamo nella comunità "La Torre" del gruppo Ceis, in Emilia-Romagna. All'apparenza sembrano dei ragazzi come tanti, quelli intervistati da "Repubblica" nel corso di un'inchiesta giornalistica sulla droga. Sorridono, fumano qualche sigaretta, scherzano. La loro apparente spensieratezza, però, si sgretola quando cominciano a raccontare le rispettive storie, che li hanno portati a perdere tutto per colpa della droga.

Alla domanda "a che età avete cominciato?", c'è chi risponde quattordici anni, chi quindici, chi diciassette. Giorgio ha scoperto l'eroina nei bagni di scuola, Davide "grazie" ad un ragazzo con cui lavorava in un ristorante, Roberto a casa di un suo compagno.

Mohammed ha iniziato dalla cocaina, imitando i suoi cugini e i suoi amici più grandi; Andrea, invece, ha iniziato con la cannabis.

Al di là del modo con cui una persona inizia ad abusare di una sostanza, l'aspetto più allarmante è l'età: sono in aumento i ragazzi minorenni. I prezzi sono sempre più bassi, per via del taglio delle sostanze con altro (che nessuno sa mai cosa sia davvero), tanto che si trovano dosi di eroina anche a cinque euro. Ma sebbene le spese per la droga si siano abbassate, i costi personali e sociali rimangono alti.

La vita chiede sempre il conto, e questi cinque ragazzi lo sanno bene. "È una condanna", dicono. E non deve essere un caso, infatti, che "addiction" derivi dal latino "addicere", ossia proprio "condannare".

I meccanismi neurali della dipendenza

I cinque ragazzi intervistati hanno dichiarato di aver provato di tutto, dalla classica canna al tiro di cocaina, dalla speed all'ecstasy. Alla fine, però, sono tutti incappati nell'eroina. Questa, infatti, dà ciò che ogni tossicodipendente cerca di più: il rush improvviso. È proprio questo immediato senso di piacere a rafforzare la tendenza all'abuso.

Ma quali meccanismi del cervello si attivano per spingere una persona a vendere la propria vita per una dose? Perché un ragazzo di nemmeno diciotto anni arriva a rubare nella propria casa, nel proprio luogo di lavoro, o a cercare, addirittura, di accoltellare un altro che gli aveva rifilato una "sostanza-pacco" (una fregatura)?

Certamente, la giovane età dei consumatori è legata al ruolo svolto dalla corteccia prefrontale. Questa regione del cervello, infatti, è coinvolta nella valutazione del rischio e nel controllo dei comportamenti. Nell'adolescenza, la CPF non è ancora maturata del tutto, comportando così una maggiore difficoltà nell'inibizione di certe azioni, anche rischiose, come quella di abusare di una certa sostanza. Proprio per questo, i più giovani sono quelli più a rischio.

Alla base della dipendenza c'è il meccanismo di rinforzo. Quando si mette in atto un determinato comportamento, se si ottiene un effetto immediato di piacere, si tenderà a ripetere l'azione in questione. A fissare un atteggiamento nel cervello ci pensa la dopamina.

Infatti, si registra un aumento dei livelli di dopamina nelle regioni cerebrali impiegate nel meccanismo di rinforzo: l'area tegmentale ventrale e il nucleo accumbens.

In particolare, l'aumento di DA nel nucleo accumbens, che fa parte dello striato ventrale, incoraggia il comportamento d'abuso, mentre a renderlo un'abitudine è lo striato dorsale (nucleo caudato e putamen). L'aspetto interessante è che, nello striato dorsale, non si verifica un aumento dei livelli di dopamina quando si assume la sostanza, ma quando ci si trova davanti a stimoli associati all'atto di prenderla. È questo particolare meccanismo che rende la disintossicazione un cammino difficile, pieno di ricadute. A spiegarlo, con parole semplici, è Giorgio: "quando si parla di aghi e di siringhe, senti un'ansia dentro, perché ti vengono in mente quelle volte in cui ti sei fatto fuori e le sbandate che hai preso, e questo ti porta a volerlo ancora, quello sballo".

Le prime campagne contro la droga fallivano proprio per questo, perché consistevano in cartelloni che mostravano fotografie di aghi, siringhe e cucchiai che, seppure allontanavano dalla droga le persone che non ne abusavano, finivano per causare il desiderio smodato nei tossicodipendenti e, quindi, li spingevano paradossalmente alle recidive e all'abuso.

Il piacere immediato, il desiderio smodato e i terribili sintomi d'astinenza, che sono opposti a quelli che la sostanza dà, sono tutti fattori che spingono la persona che assume una certa sostanza a continuare a prenderla. Col tempo, però, la droga finisce per diventare un'ossessione e l'individuo concentra tutte le sue energie e azioni al fine di ottenerla.

Per questo motivo, i tossicodipendenti hanno alle spalle una storia di piccoli o gravi crimini. I ragazzi della comunità hanno raccontato che delle volte rubavano in famiglia o al lavoro: "Raggiri tutti, le persone che ti vogliono più bene sono quelle che raggiri di più". I rapporti con gli altri, perciò, finiscono per guastarsi. Questi giovani hanno barattato una famiglia, una ragazza e un lavoro per continuare a drogarsi. Perché? Non c'è davvero una risposta, lo ammettono anche loro.

Dicono che hanno cominciato quasi per caso, perché lo facevano gli altri, per provare qualcosa, per uscire dalla timidezza.: "Ci entri dentro e non riesci più a venirne fuori", dice Mohammed. Frasi che possono suonare dei cliché ma che, purtroppo, sono vere.

"Avevo tutto. Non soffrivo di alcun disturbo che potesse spingermi a drogarmi e mi sono drogato lo stesso", racconta Giorgio commuovendosi, anche se cerca di nasconderlo schiarendosi la voce e abbassando lo sguardo. Con gli occhi fissi a terra e la voce roca, alla fine dice: "ho perso tutte le cose più belle".

Il futuro dopo l'eroina

Il percorso di disintossicazione è difficile e le statistiche parlano chiaro: solo quattro persone su dieci ce la fanno. L'aspetto triste di questa storia è la giovane età dei ragazzi che abusano di queste droghe. Aumenta sempre di più, infatti, il numero dei minorenni nei centri di recupero. È una gioventù persa, che nessuno gli ridarà mai indietro. Ma Giorgio, Roberto, Davide, Mohammed e Andrea ora guardano al futuro, fanno progetti.

Grazie alla comunità stanno riprendendo in mano la loro vita, svolgono dei lavori che li aiutano a gestirsi le giornate, imparano ad essere responsabili di se stessi e "anche di qualcos'altro", come dicono loro. Alla fine, l'intervistatore domanda loro dove si vedono tra dieci anni. Torna la spensieratezza iniziale, i sorrisi: c'è chi vuole fare il giardiniere, chi lo chef e chi spera di sistemare i rapporti con la famiglia. Tutti, però, sognano una cosa: l'indipendenza.