L’ha definita senza mezzi termini una sentenza storica. Con accuse tutt’altro che velate ad alcuni apparati dello Stato e alla loro presunta omertà istituzionale. Così il Pubblico Ministero Nino Di Matteo ha commentato l’esito del processo sulla trattativa Stato-Mafia, in occasione del 26esimo anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui perse la vita Giovanni Falcone, la compagna Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Dichiarazioni clamorose rilasciate dal PM antimafia durante la diretta mattutina di ‘Circo Massimo’, trasmissione radiofonica di approfondimento di ‘Radio Capital’ condotta da Massimo Giannini e Jean Paul Belmondo.

Le accuse: inquietanti omertà istituzionali

Di Matteo, intervistato in occasione dell’anniversario della morte di Falcone, non ha dunque lesinato parole al vetriolo nei confronti di alcuni ‘pezzi’ dello Stato, che secondo il PM trattavano con Cosa Nostra mentre il giudice veniva fatto saltare per aria sull’autostrada siciliana. Imprescindibile quindi il riferimento alla sentenza, definita storica, attraverso cui la Corte di Assise di Palermo ad aprile ha condannato a dodici anni di carcere per minaccia a corpo politico dello Stato gli ex vertici del Ros dei Carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, ma anche il senatore Marcello Dell’Utri e il medico fedelissimo di Riina Antonino Cinà. Otto, invece, se li è beccati l’ex capitano dei Carabinieri Giuseppe De Donno, mentre sono 26 gli anni di detenzione inflitti allo storico boss Leoluca Bagarella.

In sostanza, attraverso la cosiddetta 'trattativa', i protagonisti citati avrebbero di fatto intimidito lo Stato, indebolendo la sua posizione e costringendolo a venire a patti con la Mafia per fermare le stragi (ci sarà poco dopo l’attentato a Paolo Borsellino in via D’Amelio a luglio e le bombe sul continente nel 1993).

I condannati, ha continuato il PM a ‘Circo Massimo’, facevano parte di un altissimo livello dell’amministrazione dello Stato.

Ma, è la tesi di Di Matteo, sarebbero stati comunque ‘mandati’ o ‘garantiti’ da qualcuno che allora ‘alloggiava’ ai piani alti dei palazzi della politica. Dunque, per il giudice, la responsabilità di quanto accaduto in quei roventi anni che aprirono la strada alla nascita della Seconda Repubblica non si esaurisce con i soggetti finiti sul banco degli imputati della Corte di Assise di Palermo.

Di Matteo, in effetti, si è detto sempre convinto del fatto che alcuni funzionari statali sapessero molto di più di quanto affermato, sia sulle stragi che sulla morte di Falcone e Borsellino. Con l’amara constatazione, ha poi incalzato il PM nella trasmissione, di una vera e propria ‘omertà istituzionale’ in merito.

‘Problema mafia assente dalla campagna elettorale’

Secondo il magistrato del Tribunale di Palermo, inoltre, c’è ancora una devastante disattenzione generale sul problema delle mafie in Italia. A riprova di questa tesi, Di Matteo ha sottolineato come la lotta alle cosche, purtroppo, non sia stata per nulla al centro del dibattito politico dell’ultima campagna elettorale.