Capo Rizzuto: l'isola che non c'è. Esiste sulla cartina geografica, ma anche nella realtà, Isola Capo Rizzuto, provincia di Crotone. Però non è isola per migranti. Adesso non più. Il gup di Catanzaro, Carmela Tedesco, ha rinviato a giudizio 39 persone coinvolte nell'inchiesta 'Jonny', portata avanti dalla Dda di Catanzaro.

Il lavoro di indagine e le tante trame svelate

L'inchiesta ha svelato nel dettaglio il feeling di malaffare, tra 'ndrangheta e la gestione del centro d'accoglienza di Isola Capo Rizzuto. Coinvolgimento nel feeling esteso alla Chiesa.

Tra i rinviati a giudizio, infatti, spicca don Edoardo Scordia, parroco del posto.

Cosa c'entra Scordia?

Avrebbe agito per la distrazione dei fondi riservati al centro per migranti in favore delle cosche, che avevano messo le mani su un vero e proprio business. Altre 81 persone hanno scelto, invece, il rito abbreviato. Tra gli 81, c'è la presenza di primo piano di Leonardo Sacco, figura fondamentale nell'intreccio, ex governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto, il soggetto che gestiva il centro in tutto e per tutto. Sacco è definito nelle carte giudiziarie l'amico dei potenti, l'uomo che diversifica affari e interventi, non limitandosi ai centri d'accoglienza: dal noleggio di imbarcazioni alla proprietà della locale società di calcio, condotta alla vittoria un anno fa del campionato di Eccellenza Calabria, promossa in Serie D ma poi abbandonata ad un triste destino (è già retrocessa) proprio a causa dei guai giudiziari del patron.

Ma la carriera veloce di Sacco passa soprattutto per altre 'imprese': l'entrata nel cda che gestisce l'aeroporto di Crotone e la scalata alle posizioni di comando di Basilicata e Calabria. Una carriera che si nutre, oltre che di rapporti con le cosche, dei tanti legami stretti con faccendieri e politici.

Le gravi imputazioni

A vario titolo gli imputati dovranno rispondere dei seguenti capi di imputazione: associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, truffa aggravata e continua, malversazione ai danni dello Stato. Insomma andrà a processo una vera e propria organizzazione, nata e cresciuta sia sulla pelle dei migranti che su quella degli italiani che contribuivano con le tasse a far arrivare fondi governativi. Un ciclone dagli effetti collaterali, capace di generare, ovunque, diffidenza verso la politica di fondo scelta dall'Italia per gestire l'accoglienza.