Si sa, la censura è da sempre motivo di grande discussione in merito di arte e divulgazione. Centinaia sono gli autori di ogni genere di opera che nella storia sono caduti sotto le cesoie della censura, chi per motivi politici, chi per motivi religiosi, di costume e molti altri. Da italiani è impossibile da dimenticare ad esempio la nota guerra portata avanti da Pier Paolo Pasolini contro la feroce censura che le sue opere cinematografiche dovettero costantemente subire, spesso mistificandone il contenuto. Ma che effetto avrebbe, ad esempio, un atteggiamento simile se attuato da uno dei punti di riferimento dell'industria culturale moderna, ossia l'università?

I fatti della Otago

Il tema della censura è tornato di recente fortemente in voga, in riferimento ai fatti avvenuti a Dunedin in Otago, regione della Nuova Zelanda che ospita l'ononima Otago University, l'università più antica e importante del Paese. Il centro di studi infatti, che nel 2011 contava 21.000 studenti fra i suoi banchi, è finito all'interno di un vero e proprio caso mediatico in cui utenti da tutto il continente hanno invaso l'account Twitter del prestigioso polo con l'intento di criticare un comportamento apparso quantomeno contraddittorio con lo spirito che una università, e in particolar modo nota per il suo prestigio come la OU, dovrebbe di norma possedere.

Lo scorso lunedì notte, lo staff universitario ha requisito e prontamente cestinato circa 500 copie del magazine studentesco Critic che, in quella particolare tiratura, sfoggiava in copertina una controversa immagine raffigurante una donna intenta a mostrare il proprio ciclo mestruale.

Una volta venuto a conoscenza dei fatti, l'editor del periodico Joel MacManus si è mosso subito per scoprire il colpevole dell'atto finchè non ha scoperto tramite un loro stesso comunicato che dietro l'agguerrito gesto si celava la Otago University. L'università spiega come il consiglio di ritirare le copie del magazine sia arrivata dalla stessa amministrazione pubblica cittadina, la quale accusava la copertina di essere fuorviante e per molte persone troppo impressionante.

Di conseguenza, ritenendo il polo universitario un ambiente pubblico come tanti altri, in quanto frequentato anche da moltissimi non studenti, hanno deciso prontamente di requisire le copie in circolazione nei pressi del campus. Nonostante le scuse arrivate in un successivo comunicato qualche ora dopo, in cui l'università ammetteva la fretta e l'imperdonabilità dell'errore, l'editor MacManus ha comunque accusato l'università di censura inappropriata e, rivelando l'accaduto su vari social network, ha così dato inizio ad un vero e proprio effetto boomerang.

L'utilità della censura

Come si suol dire, scuse o no, ormai il danno è bello che fatto. Non per il magazine, paradossalmente, quanto per la Otago University: migliaia i commenti negativi e le accuse, altrattanti i messaggi di sostegno a supporto dell'editor e di tutto lo staff redazionale. Molto probabilmente parte di un clima, quello accusatorio, che almeno inizialmente si era cercato di evitare, proprio con l'accantonamento delle tante copie della rivista prematuramente giudicata "fuorviante". Sì, perchè ovviamente l'accaduto non ha fatto altro che riversarsi tanto negativamente sull'organo di censura quanto positivamente sul periodico stesso. 18.000 click in poche ore dall'accaduto e obiettivo di divulgazione pienamente raggiunto.

Telegiornali nazionali e non, come prevedibile, hanno citato la piccola testata (pur mascherando o addirittura escludendo l'immagine in copertina) in merito all'accaduto che ha creato uno scalpore di incredibile intensità.

L'edizione aveva infatti nient'altro che scopi puramente informativi, ovviamente collegati in particolare al tema della copertina. In collaborazione col gruppo studentesco Women's+ Club, interno alla stessa Otago, il numero del magazine presentava infatti un articolo che illustrava una grave falla nella sanità neozelandese: il costo eccessivo di alcuni presidi medici e farmaceutici, in particolari necessari al sesso femminile. Nel numero era inoltre presente una mappa con tutti i punti in cui acquistare a prezzi modici (o addirittura reperire gratuitamente) medicinali e altri articoli necessari in caso di ciclo mestruale, oltre che vari racconti di ragazze in merito alla questione già ampiamente discussa nelle prime pagine del giornalino.

Insomma, tutto tranne che fuorviante il contenuto di un messaggio che l'ultima cosa che merita è di venir cestinato senza ritegno per una copertina troppo spinta. Informazioni che hanno rischiato di venir perse per sempre e passare inosservate, ma fortunatamente salvate e divulgate dall'attenzione mediatica che il caso ha suscitato.

La domanda è quindi lecita: il magazine è stato visionato con attenzione prima di prendere la decisione di requisirlo oppure, come sostenuto da moltissimi utenti, giudicato solo in base alla sua copertina? La risposta, come in molti casi, appare scontata.

E' dai recenti fatti neozelandesi che possiamo attentamente attingere (senza esagerare) per dare una spiegazione ai molti casi di censura apparentemente inspiegabile di cui sono vittime opere da tutto il mondo.

Tralasciando infatti censure di tipo politico e religioso/legale, di cui possiamo ampiamente discutere in differente sede, poiché i motivi sarebbero fin troppo ovvi (basti pensare alle rigidissime leggi arabe su determinati argomenti, così come la Corea del Nord), ci siamo trovati spesso a fare i conti con opere assolutamente innocue, specie in una società come la nostra apparentemente ormai sdoganata dalla maggior parte dei tabù.

E' davvero la mancanza di esperti all'interno dei vari organi di censura, in grado di studiare attentamente e capire il messaggio che opere spesso incomprese riescono a dare o anche a nascondere, a generare sempre più spesso censura e tagli considerevoli? Un'analisi meglio approcciata sarebbe forse l'ideale in certi casi, e il caso di Dunedin, molto probabilmente, ci offre la metafora migliore e più attuale di sempre: non giudicare un magazine dalla copertina.