Triste primato per l’Italia che, secondo il rapporto ISTAT 2018, è il secondo paese più vecchio al mondo; a contenderci il primato solo il Giappone. Per il 3° anno di fila si assiste infatti ad un decremento demografico, nonostante l’apporto della popolazione straniera, coloro infatti che hanno ottenuto la cittadinanza italiana sono oltre 200mila nel 2016, dato che sembra destinato a salire.

A fare da contraltare, una diminuzione delle nascite per il nono anno di seguito, a dispetto anche qui dell’apporto della popolazione straniera che può contare su una età media più bassa e una fecondità più elevata, e l’aumento degli italiani che vanno via dal nostro paese.

Nel 2016, infatti, sono ‘scappati’ 25.000 laureati, dato in crescita rispetto al 2013. Tirando le somme, secondo l’ultima rilevazione, la popolazione totale ammonta a 60,5 milioni di residenti (100mila in meno rispetto all’anno scorso) con 5.6 milioni di stranieri (8,4% del totale).

Buone notizie arrivano però dal fronte della qualità dei rapporti umani che sembrano prevalere rispetto a quelli virtuali. Quasi l’80% delle persone maggiorenni ha dichiarato di poter fare affidamento almeno su un parente, un amico o un vicino e, se c’è un buon 60% di utenti regolari di internet e social network, il ricorso alla tecnologia non rappresenta una sostituzione delle relazioni sociali ‘reali’ che, secondo il presidente dell'Istat Giorgio Alleva, restano ancora la forma di interazione sociale più appagante.

Lavoro più precario, sud che si spopola e meno raccomandazioni

Sul fronte lavoro ci sono invece buone e cattive notizie. Da un lato sembra passata la crisi scatenatasi nel 2008, con una crescita consolidata e i livelli di occupazione che sono ritornati ad assestarsi su valori precedenti a quell’anno. Dall’altro, l’industria perde quasi 900mila dipendenti, con i servizi che fanno registrare una crescita riuscendo ad assorbire quasi tutti i posti persi, anche se, con ben 1 milione di part-time in più, il lavoro è molto più precario rispetto a dieci anni fa.

La corsa del Pil nel Mezzogiorno che, tra il 2015 e il 2016, aveva fatto registrare una crescita superiore a quella del resto del Paese, subisce un rallentamento e il territorio si spopola per colpa di un incremento dell’emigrazione che sembra ricalcare quella degli anni '50, con gente che lascia la propria terra per trasferirsi nelle grandi città del nord o addirittura all’estero: Inghilterra e Germania le mete preferite ancora oggi.

Un dato positivo, però, è quello relativo alle nuove modalità con cui i giovani cercano lavoro, una novità che segna anche un cambio di mentalità. Quelli che sono sempre stati i canali di riferimento per poter trovare lavoro, le conoscenze o l’aiuto di amici e parenti, in buona sostanza le raccomandazioni, cedono il passo ai nuovi strumenti informatici. Il metodo preferito adesso sembra quello della ricerca in rete, si consultano offerte e si inviano curriculum tenuto conto anche del fatto che, secondo il rapporto, il lavoro ottenuto con i metodi ‘informali’ risulta meno pagato meno stabile e incoerente con gli studi fatti.

Proprio per questo motivo, il presidente dell'Istat propone un rafforzamento dei canali formali per la ricerca del lavoro.

Secondo il massimo dirigente: “Il rafforzamento dei servizi per l'impiego rappresenta un elemento cruciale per realizzare politiche attive del lavoro efficaci, anche con riferimento alle misure di contrasto della povertà e dell'esclusione sociale”.