violenza immotivata, appropriazione indebita di veicolo pubblico, attacco alle autorità, sequestro di persona. Comunque lo si voglia chiamare, quello che sta accadendo a Napoli (in particolar modo, ma non solo) negli ultimi mesi ha un che di sconvolgente. Una linea di comportamento quantomeno oltraggiosa che rischia e di fatto mette già in precarie condizioni di lavoro chi di mestiere salva vite, o prova a farlo. Parliamo ovviamente del personale sanitario, dai medici di ospedale ai "semplici" infermieri e volontari adibiti al servizio su unità mobili di soccorso.

Drammaticamente, sono proprio questi ultimi i più colpiti e le cause vengono in particolar modo attribuite proprio ai limiti che questi hanno avuto nel trattamento dei pazienti. Ma andiamo con ordine.

Fatti che hanno dell'assurdo

Il più recente dei casi che tratteremo è accaduto nelle ultime ore proprio nel capoluogo campano. Il tutto è iniziato nei quartieri spagnoli, dove due moto si sono scontrate portando alla morte un giovane 17enne napoletano e con l'altro conducende coinvolto, un uomo di 45 anni, in riabilitazione dopo esserne uscito con gravi ferite. Da qui in poi, come se non fosse abbastanza, dilaga il caos. Prima la chiamata al pronto soccorso che immediatamente promette di mobilitare un'ambulanza, promessa rivelatasi inutile perché una folla inferocita (così descritta dalle vittime) a bordo di numerosi scooter ha presto letteralmente invaso il parcheggio dell'ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli, dove stanziava un'ambulanza appena rientrata da un servizio d'emergenza.

Avventandosi sull'unico mezzo a disposizione in vista, gli uomini, scesi dalle moto, hanno dapprima preso possesso del veicolo e, una volta sgomberato del personale sanitario ad eccezione di un terrorizzato autista Asl rimasto a bordo lungo tutto il tragitto, lo hanno trasportato personalmente fino al luogo dell'incidente. Qui i guai, come una commedia, hanno cominciato a moltiplicarsi.

Quasi contemporaneamente si sono così trovate sul posto ben tre ambulanze: una, quella sequestrata poco prima e due provenienti direttamente dall'ospedale che aveva ricevuto la chiamata poco prima. Queste ultime sono state inghiottite da un'ulteriore folla di persone infuriate che le hanno seppellite di insulti e minacce, finchè i medici a bordo non hanno caricato i feriti per trasportarli d'urgenza nella vicina struttura e si sono rimesse così in marcia, non senza qualche difficoltà.

"Qualche difficoltà" che forse si presenta anche come termine riduttivo, poichè il mezzo è stato letterlamente scortato dalla banda in scooter fino al parcheggio ospedaliero dove un posto di blocco della polizia ha finalmente arginato la folla che rischiava di invadere persino le sale interne alla struttura. La denuncia del fatto è avvenuto grazie alla pagina Facebook "Non toccate Ippocrate", nella quale sempre più spesso situazioni simili vengono raccontate da vittime di tutta Italia.

Una scena surreale, una cronologia di fatti talmente assurda che si direbbe non abbia nulla da invidiare ai migliori serial drama. Eppure, parlarne apertamente considerandolo però un avvenimento soltanto fresco di giornata, o anche limitando la sua esistenza alle sole strade napoletane, è probabilmente altrettanto sbagliato.

È di qualche mese fa infatti una coppia di aggressioni a danni di ambulanze e personale medico a bordo delle stesse, sempre a Napoli, dove un uomo ha preso calci e pugni mezzo e passeggeri in camice e un altro ne ha frantumato i vetri con una mazza di ferro. In tutta Italia il conteggio di segnalazioni del genere è salito e ha superato i 30 casi, e ovviamente non solo a Napoli. Abruzzo e Lazio sono le due regioni, dopo la Campania, a presentare con maggior frequenza i casi di aggressione ai danni del personale sanitario: da minacce con coltello a veri e propri assalti a mani nude, fino ai sequestri di persona.

Inevitabilmente si sono posti dei quesiti. Perché queste persone agiscono così? Chi o cosa le spinge ad aggredire l'istituzione medica?

Come vedremo, una certa teoria criminologica non solo ci suggerisce la risposta, ma forse anche la domanda corretta da porci: perché queste persone sono convinte di agire nel giusto?

La teoria della subcultura

Innanzitutto è bene fare due precisazioni. Primo, gli avvenimenti di Napoli, così come tutti gli altri dallo stampo simile, non sono attacchi ai singoli membri del personale medico né ai mezzi e alle strutture in questione come singole unità, ma più in generale è emerso come come questi atti siano un sintomo di avversione verso l'intero sistema sanitario nel suo complesso. Secondo, è bene definire il significato di subcultura, ossia un determinato segmento sociale, nato entro i margini di un certo sistema culturale condiviso, che interessa un più ristretto gruppo di persone e avente al suo interno un proprio sistema di norme e valori differenti da altri gruppi sociali.

La teoria che vede le subculture al centro delle cause della devianza mette le proprie basi innanzitutto dagli studi attribuiti alla scuola di Chicago, chiamata in questo modo per l'ubicazione del suo esperimento. Gli studiosi in questione infatti, suddivisero la città in cinque zone concentriche, calcolando per ognuna il tasso di delinquenza. I risultati mostrarono un'importante verità: man mano che ci si allontanava dal centro cittadino, il tasso diminuiva sensibilmente. Dunque, dall'assunto che in determinate zone esistessero (ed esistano) conformazioni di valori favorevoli alla criminalità, e che questi venissero tramandati di generazione in generazione, è Edwin Sutherland a prendere per primo le mosse da questi studiosi ed elaborare la teoria che segue.

Secondo il noto criminologo americano, il comportamento criminale non è né ereditario né inventato dall'attore, ma in realtà esso è appreso attraverso la comunicazione con altre persone. È proprio all'interno di piccoli gruppi, per Sutherland, che le motivazioni così come le tecniche adeguate per compiere il crimine vengono apprese e tramandate.

Ma la principale intuizione in merito è sicuramente la più attinente al nostro caso. Il criminologo spiega infatti che in questo modo, spesso chi commette un certo tipo di reato lo fa perché si conforma alle aspettative dell'ambiente in cui è cresciuto e vive. Osservando il fenomeno dal suo interno, si può notare come le motivazioni che spingono il comportamento di questi soggetti non sono diversi da quelli che rispettano le leggi.

Essi infatti sono portati a non violare le norme del proprio gruppo di appartenenza, ma "solo" quelle della società civile in generale, concetto che afferma come ad essere deviante non sia l'individuo, ma la subcultura stessa. In sostanza, a date persone sta più a cuore mantenere il rispetto e agire a difesa del sottogruppo culturale a cui appartengono piuttosto che al più ampio insieme sociale che li rappresenta, sentendo però ques'ultimo in qualche modo distante da essi.

Stringendo così il nostro argomento alle delucidazioni in merito, si può facilmente constatare l'esistenza di una vera e propria subcultura, diffusa più o meno su larga scala con diverso grado di affluenza, in cui l'aggressione e l'odio verso l'istituzione sanitaria è non solo perfettamente giustificato, ma anche incoraggiato.

Come già visto da Sutherland, le sottoculture criminali sono più diffuse di quanto si creda e spesso diventano molto grandi in pochissimo tempo e, unendo la loro esponenzialità alla questione della sottovalutazione del problema, spesso vengono alla luce quando i danni diventano insostenibili. Una cosa, comunque, è certa: tanto più queste sottoculture esistono, tanto più gli individui che ne fanno parte rischiano di diventare veri e propri criminali.