Ci sono Paesi in cui fare il giornalista, soprattutto il giornalista investigativo, non solo è difficile, ma anche estremamente pericoloso.È un'esperienza che sta vivendo sulla propria pelle la reporter indiana Rana Ayyub. Originaria di Mumbai e di famiglia musulmana, classe 1984, Rana è soprattutto nota in India per la pubblicazione di un libro, controverso ma di successo, sui cosiddetti “Gujarat Riots” del 2002. Nel libro si parla delle efferate violenze interetniche e interreligiose che scoppiarono in quell'anno nello Stato indiano del Gujarat e che durarono per tre giorni di seguito.

Il lavoro della Ayyub puntava, in particolare, sul coinvolgimento nei “riots” dell'attuale primo ministro indiano, Narendra Modi, nonché del presidente del partito indù BJP (Baharatja Janata Party), Amit Shah. Rana Ayyub ha però lavorato anche su altri fronti caldi della cronaca indiana, per esempio gli omicidi extra-giudiziali che ebbero luogo sempre nel Gujarat tra 2002 e 2006, e nei quali si sospetta, di nuovo, il coinvolgimento di Amit Shah.

Messaggi trasversali

Come molti suoi colleghi, Rana Ayyub scrive dunque delle violenze cui in India sono sottoposte le minoranze religiose e, in questa veste, ha più volte chiamato in causa il primo ministro Modi per rimproverargli il silenzio riguardo l'argomento, nonché l'abitudine di far Politica diffondendo messaggi trasversali dal sapore mafioso (“dog-whistle politics”).

Rana Ayyub, come altri giornalisti investigativi in India, paga le conseguenze per il sup lavoro: lo scrive lei stessa in un articolo su 'Foreign Policy', nel quale, tra l'altro, denuncia il fatto che nessuno protegge i giornalisti coraggiosi come lei, e ce ne sono tanti.

Violentissimi attacchi sui social

Negli ultimi mesi, Rana Ayyub è stata vittima di un attacco mediatico senza precedenti.

Fanatismo religioso, partigianeria politica e sessismo scurrile danno a questi attacchi un carattere inconfondibile. Per gli agitatori indù che li orchestrano, Rana Ayyub è il bersaglio ideale: è donna, appartiene a una minoranza religiosa, è giornalista e non sembra avere paura di mettere in piazza gli scheletri di Modi e del BJP.

“Niente mi aveva preparata a quel che mi è stato gettato addosso negli ultimi mesi”, ha scritto in un articolo pubblicato di recente sul New York Times. Lo scorso 22 aprile, per esempio, cominciò a circolare un messaggio Twitter falsamente attribuito a lei in cui le si faceva dire che lei appoggiava gli stupratori di bambini.

Lei cercò di rintuzzare con un messaggio, sempre su Twitter, in cui chiariva che si trattava ovviamente di un falso, ma senza alcun successo.'I miei account e il mio telefonino furono inondati di messaggi WhatsApp in cui si leggeva l'incitamento a sottopormi a stupri di gruppo', ricorda ancora lei nel suo pezzo sul NYT.

Una bugia ripetuta e amplificata da vari esponenti del partito di Modi: tutti rifiutarono di cancellare i messaggi.

Il giorno dopo, 23 aprile, un nuovo affronto: un altro falso messaggio, realizzato con Photoshop, in cui le si faceva dire, testuale, “odio l'India e gli indiani”. La teppaglia in rete la azzannò subito alla gola, invitandola a fare le valigie per il Pakistan.

Un altro sopruso: il video pronografico

Ma il peggio non era ancora arrivato. Nella stessa serata del 23 un attivista indù avvertì Rana che su vari gruppi WhatsApp era iniziato a circolare un video pornografico di due minuti e 20 secondi, in cui una ragazza col suo viso svolgeva una particolare pratica sessuale. Quando lo vide, seduta in un caffè di Nuova Delhi, Rana non poté fare a meno di vomitare.

Pochi minuti più tardi, i suoi account furono sommersi da messaggi uno più scurrile dell'altro, i più innocenti dei quali le domandavano quanto si facesse pagare per una prestazione.

Minoranze senza diritti

Scrive Rana: “Non ho modo di sapere chi ha prodotto quel video, ma so una cosa: che la maggior parte dei gestori di Twitter e degli account di Facebook che hanno postato il video, si identificano come sostenitori di Modi e del suo partito e lottano per un'India che sia solo per gli indù, in cui le minoranze religiose non abbiano quasi alcun diritto. Ho denunciato molti di questi account alla sezione crimine cibernetico della polizia di Delhi”.

La conclusione di Rana Ayyub è sconfortante: “Il signor Modi ha più volte parlato di voler cambiare la vita degli indiani attraverso la tecnologia. Quattro anni dopo la sua elezione, i suoi seguaci hanno davvero trovato un modo efficace di usare la tecnologia: contro il diritto di critica, normalizzando l'odio e la misoginia”.