Il movente dell’agguato di lunedì scorso che ha portato alla morte di un 63enne, mentre si trovava con alcuni conoscenti nel parcheggio del supermercato “Il Gigante” di Rozzano, ormai è chiaro. Si è trattato di una vendetta dell’ex genero 35enne, per una brutta storia di abusi in famiglia. Infatti a novembre la figlia minorenne dell’assassino aveva raccontato alla madre di aver subito molestie e violenze dal nonno, quando quest’ultimo si era trasferito per una decina di giorni da Napoli, dove viveva abitualmente, a Rozzano.

Dopo questa sconvolgente rivelazione, la donna aveva fatto visitare la piccola da alcuni psicologi.

In seguito era partita una denuncia: durante le audizioni protette si è scoperto che gli episodi erano iniziati già nel 2016 e che altre giovanissime vittime potrebbero essere state coinvolte.

L’ipotesi di una trappola ordita dai parenti della vittima

Lunedì, due ore prima del delitto, si è tenuto a Milano l’incidente probatorio per acquisire come prova il racconto della bambina in attesa del processo al nonno, che da settimane era indagato per gli abusi. L’uomo, che dopo i fatti era stato allontanato dalla famiglia, non tornava in Lombardia proprio dall’estate scorsa: non è chiaro cosa gli abbia fatto cambiare idea.

Gli inquirenti pensano che possa essere stato attirato in una specie di trappola proprio dai parenti che, richiamandolo a Rozzano, avrebbero favorito la vendetta dell’ex genero.

Tuttavia altri testimoni hanno spiegato che il 63enne era al corrente del pericolo e si muoveva con attenzione; al momento non ci sono elementi che dimostrino l’esistenza di un piano per eliminarlo con la complicità dei famigliari.

I punti ancora da chiarire sull’agguato

Di certo il ritorno a Rozzano è costato la vita al 63enne.

Non appena il padre della piccola è stato informato della presenza dell’ex suocero nella cittadina, ha iniziato una caccia all’uomo, accompagnato dall’amico 27enne che adesso è accusato insieme a lui di omicidio con l’aggravante dalla premeditazione.

Interrogato, l’assassino ha parlato di “blackout” e non ha saputo dire dove abbia nascosto la pistola che ha utilizzato nell’agguato.

Inoltre ha cercato di alleggerire la posizione del complice, assumendosi tutte le responsabilità del delitto, mentre ha taciuto su chi sia stato a rivelargli dove si trovava la vittima. Nelle prossime ore i due arrestati saranno ascoltati dal gip Elisabetta Meyer.