Le ultime perizie, raccolte in un’informativa consegnata dai carabinieri al sostituto procuratore della Repubblica di Cassino, Maria Beatrice Siravo, sembrano finalmente identificare il responsabile dell’omicidio di Serena Mollicone. Si tratta di uno dei più famosi “cold case” degli ultimi anni: la 18enne di Arce, un piccolo paese in provincia di Frosinone, sparì nel nulla il primo giugno del 2001, per essere ritrovata morta due giorni dopo nel boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella, una frazione di Monte San Giovanni Campano, distante circa otto chilometri dal luogo della scomparsa.

Dopo essere ripartiti da zero, anche a causa dei molti depistaggi subiti, gli investigatori si sono convinti che l’assassino potrebbe essere proprio Marco Mottola, il figlio dell’allora comandante dei carabinieri di Arce.

L’aggressione all’interno della caserma dei carabinieri

La ragazza, trovata priva di vita con le mani e i piedi legati da del filo di ferro, una profonda ferita vicino all’occhio sinistro e la testa stretta con del nastro adesivo in un sacchetto di plastica che ne aveva causato un lento soffocamento, non era stata aggredita nel boschetto, ma qualcuno doveva averla portata fin lì. Secondo le ricostruzioni effettuate dagli specialisti dell’Arma, il giorno della scomparsa si era recata proprio presso la caserma dei carabinieri di Arce per fare una denuncia, probabilmente relativa ad un traffico di droga nel piccolo centro abitato, che avrebbe coinvolto anche Marco Mottola.

Ma la giovane sarebbe stata accompagnata in un alloggio in disuso del complesso, destinato alla famiglia dell’allora comandante: lì nel corso di un litigio feroce la 18enne sarebbe stata aggredita, fino a sbattere con violenza la testa contro una porta.

Le indagini sono ad un punto di svolta

A questo punto, sempre secondo gli inquirenti, credendola morta, l’autore del delitto avrebbe portato Serena del bosco per abbandonarla.

Ma, una volta scoperto che respirava ancora, l’avrebbe soffocata con il sacchetto e del nastro adesivo. Da quel momento sarebbero iniziati i tanti depistaggi, che avrebbero portato tra l’altro all’arresto del carrozziere Carmine Belli, dichiarato innocente solo dopo molti mesi passati in carcere. La indagini sono continuate a lungo, fino a quando nel 2008, poco prima di un interrogatorio, il brigadiere Santino Tuzi si suicidò, forse perché a conoscenza della verità sul crimine.

Adesso che le analisi hanno dimostrato come la ragazza sia stata uccisa in caserma, si stringe il cerchio intorno ai tre indagati per omicidio volontario ed occultamento di cadavere: il maresciallo Franco Mottola, ex comandante della stazione di Arce, la moglie Annamaria ad il figlio Marco, considerato l’esecutore materiale. Ma non solo: risultano coinvolti nell’inchiesta, che potrebbe chiudersi a breve, anche il luogotenente Vincenzo Quatrale, con l’accusa di concorso morale nell’assassinio e di istigazione al suicidio del brigadiere Tuzi, e l’appuntato Francesco Suprano, sospettato di favoreggiamento.