Torna a far parlare di se il delitto verificatosi a Santa Croce Camerina, nel ragusano, nel novembre del 2014. Come si ricorderà, un piccolo bambino di 8 anni fu strangolato con delle fascette dalla sua stessa madre, Veronica Panarello, ad oggi condannata a 30 anni di reclusione. La conferma di tale pena per la Panarello risale al 5 luglio dello scorso anno, allorquando la Corte d'Assise d'Appello di Catania si espresse circa la posizione dell'imputata. La stessa è ritenuta quindi responsabile in prima persona per la morte del figlio, e deve rispondere anche di occultamento di cadavere.

Il suo avvocato presenta ricorso in Cassazione

Il legale Francesco Villardita però non ci sta e, nelle scorse ore, ha depositato il ricorso avverso la sentenza. Sarebbero ben dieci i punti su cui verterebbero le motivazioni del ricorso. Tra questi l'assenza di un preciso movente del delitto e la contraddizione della sentenza, la quale parla di dolo d'impeto. Secondo quest'ultima accusa, la presunta omicida avrebbe compiuto l'azione criminosa in maniera deliberata. Anche la capacità di intendere della donna sarà un punto che la difesa vuole discutere. La sentenza di primo grado che condannava la donna a 30 anni di carcere risale al 17 ottobre del 2016 emessa dal Gip di Ragusa, Andrea Reale. Sono accuse gravissime quelle nei confronti della Panarello che, in precedenza, si è scagliata anche contro il suocero, proprio in tribunale.

"È colpa tua, ti ammazzo con le mie mani. Sei contento adesso?" - così aveva urlato l'imputata contro il suo familiare.

Le numerose versioni di Veronica Panarello

Durante il processo la donna ha cambiato per ben tre volte la sua versione dei fatti. In un primo momento, quello immediatamente seguente al delitto, si è difesa sostenendo che avrebbe avuto un raptus di follia improvviso perché il piccolo Loris non sarebbe voluto andare a scuola.

La seconda versione arriva nel 2015 e qui la donna ha raccontato che il figlio stesse giocando da solo con le fascette mentre lei era intenta a fare le pulizia. Intuendo quindi la gravità della situazione, la madre avrebbe soccorso il figlio quando ormai per il piccolo non c'era più nulla da fare. Per questo, impaurita dalla reazione del marito, Davide Stival, avrebbe caricato il corpo esanime del bambino in auto e lo avrebbe scaricato nel canale del Mulino Vecchio, dove poi è stato effettivamente ritrovato dagli inquirenti.

Ma è proprio nel 2016 che l'imputata cambia nuovamente versione e accusa il nonno paterno di aver compiuto il misfatto. La donna sostenne che con lui avesse intrapreso una relazione clandestina. L'uomo ha annunciato, per tutta risposta, una querela per calunnia e diffamazione.