Sono oltre 1.600 i documenti riordinati in un'unico sito: si tratta di materiali vari e atti raccolti dalla Commissione Antimafia. Adesso tutto questo è stato desecretato, e presto diverrà accessibile a tutti. Un vero e proprio passo in avanti per scoprire la verità sul terribile attentato di via D'Amelio a Palermo, che si verificò il 19 luglio del 1992. Nello stesso, come si ricorderà, rimasero uccisi lo stesso giudice e cinque agenti della sua scorta. L'attentato avvenne poco più di un mese dopo quello che uccise un altro giudice, Giovanni Falcone, anche lui come il collega Borsellino, impegnato a contrastare la criminalità organizzata.
Si trattò, all'epoca, di due stragi, consecutive una all'altra, che fecero scalpore nell'opinione pubblica. Dagli archivi emerge un Borsellino arrabbiato per quanto stava succedendo: lo stesso infatti, negli audio delle chiamate rese pubbliche, riferisce che all'epoca la scorta c'era solo di mattina, mentre di pomeriggio vi era soltanto una macchina. Questo, secondo quanto si apprende dalle sue parole, avrebbe consentito, a chi volesse ucciderlo, di operare tranquillamente di sera.
Vi erano molti processi in corso
Il giudice denunciava anche che in quel periodo i processi da portare avanti erano davvero tanti, e per questo erano state ordinate presso il tribunale nuove strumentazioni tecnologiche, come appunto un computer, che però non era ancora stato usato.
Infatti il giudice usava sempre scriversi i suoi appuntamenti su un'agenda di colore rosso, la stessa che poi venne ritrovata all'interno dell'auto esplosa e poi misteriosamente scomparsa. "Non bastano più le rubriche artigianali" - diceva il magistrato. Paolo Borsellino, il pomeriggio, quando doveva recarsi a lavoro, lo faceva sempre con la sua macchina, proprio perché molti degli autisti giudiziari erano assenti.
Ma dai rapporti resi pubblici emerge anche tanto altro: a quanto pare il giudice aveva intuito anche la presenza della massoneria nella stessa Mazara del Vallo, nonché rapporti contigui politica-mafia che riguardavano il solo scambio di favori.
La 'Stella d'Oriente'
Secondo quanto emerge dagli audio resi pubblici, pare che a Mazara, all'epoca, operasse una società dal nome tipicamente massonico, denominata "Stella d'Oriente".
Un certo Pino Mandalari sarebbe stato il factotum della loggia che, presumibilmente, sempre secondo quanto si apprende dalle parole di Borsellino, avrebbe amministrato addirittura i beni del boss Totò Riina, ma anche di Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. Lo stesso Violante chiese a Borsellino se mai ci fossero magistrati appartenenti a tale loggia massonica, ma il giudice, in quell'occasione, disse di non avere prove che qualche magistrato fosse massone, ma di certo alcuni di loro frequentavano lo stesso circolo.
Il presidente Antimafia Nicola Morra: 'Segno di democratizzazione'
Sulla vicenda della pubblicazione degli audio è intervenuto anche l'attuale presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, che parla di un evidente segno di democratizzazione del Paese.
Tutto il materiale, come detto in apertura, sarà disponibile in nuovo sito: qui, grazie ad un motore di ricerca interno, si potranno ascoltare tutti i file. La desecretazione è accompagnata anche da un'opera di digitalizzazione dei materiali che fino ad ora erano solo su cartaceo. Morra sottolinea poi che questo è un lavoro importante per tutti coloro che tengono alla giustizia.