Marco Vannini, non sarebbe morto perché raggiunto da un colpo di arma da fuoco, ma perché c'è stato un ritardo nell'allertare i soccorsi. Il ventenne, trovato senza vita cinque anni fa a Ladispoli, in casa della fidanzata Martina Ciontoli, avrebbe potuto salvarsi. Oggi, venerdì 7 febbraio, il procuratore generale Elisabetta Ceniccola ha chiesto un nuovo processo di appello per Antonio Ciontoli, sostenendo che si trattò di omicidio volontario e non di omicidio colposo. Richiesta che poi è stata accolta.
Un nuovo processo per Marco Vannini
Stamattina è iniziato a Roma, il processo di terzo e ultimo grado sull'omicidio di Marco Vannini.
Al termine della requisitoria di fronte alla Prima Sezione penale della Corte di Cassazione, il procuratore generale Elisabetta Ceniccola, ha dichiarato che si è trattato di omicidio volontario. Per questo motivo, ha richiesto di annullare - rinviando ad altra sezione - la precedente sentenza di secondo grado emessa dai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Roma, nei confronti di Antonio Ciontoli. Nonostante il pubblico ministero, all'epoca, avesse sollecitato una pena di 21 anni, il sottufficiale della Marina Militare venne condannato a 14 anni, poi ridotti a 5 (l'omicidio volontario, infatti, venne derubricato in omicidio colposo).
La prima sezione penale della Cassazione ha accolto la richiesta del procuratore generale e delle parti civili e, dunque, si aprirà un nuovo processo di secondo grado, durante il quale si valuterà un aumento di pena per gli imputati.
La mamma di Marco Vannini, Marina, alla lettura del verdetto è stata colta da un lieve malore. Poi, emozionata e commossa ha dichiarato: "Non ci speravo più ormai, Marco ha riconquistato rispetto. La giustizia ha compreso che non è possibile morire così a vent'anni".
La morte di Marco Vannini
La tragica morte di Marco Vannini è considerata una delle pagine di Cronaca Nera più agghiaccianti della recente storia italiana.
Il giovane, vent'anni appena, la notte tra il 17 ed il 18 maggio 2015, venne raggiunto da un colpo di pistola mentre si trovava in casa della fidanzata a Ladispoli, litorale nord di Roma.
Secondo quanto emerso in sede processuale, Marco intorno alle ore 23 del 17 maggio si trovava in bagno a farsi una doccia. Ad un certo punto, però, il padre di Martina, Antonio Ciontoli, avrebbe fatto il suo ingresso nella stanza per prendere delle pistole che aveva lasciato in una scarpiera.
Il giovane, incuriosito, avrebbe chiesto all'uomo di mostrargliele e quest'ultimo, per gioco, gli avrebbe puntato l'arma contro, esplodendo un colpo contro di lui. Il proiettile che ha ferito Marco ad un braccio sarebbe partito alle 23:15, ma il 118 venne allertato circa 40 minuti più tardi, dal fratello di Martina, Federico. Il ragazzo avrebbe riferito all'operatore che un amico aveva avuto un mancamento a causa di uno scherzo. Poi, sarebbe intervenuta la madre di Federico, Maria Pezzillo, dichiarando che, in caso di bisogno, avrebbe richiamato. Poco dopo la mezzanotte, Antonio Ciontoli ha ricomposto il numero per le emergenze chiedendo un'ambulanza e spiegando che un ragazzo si era bucato con un pettine appuntito nella vasca da bagno.
I soccorsi arrivarono alle 00.23, ma solo alle 00.54 al Pit (Posto di primo intervento) di Ladispoli, Antonio Ciontoli ha rilevato che Marco Vannini si era ferito con un colpo d'arma da fuoco partito accidentalmente. Così, il ragazzo venne trasporto in elisoccorso al Policlinico Gemelli dove morirà alle 3 del mattino del 18 maggio,
Le urla disumane di Marco Vannini
Il sostituto procuratore generale Ceniccola, durante al sua requisitoria, ha definito gravissimo quanto accaduto tra il 17 ed il 18 maggio 2015. Poi, ha sostenuto che la condotta degli imputati è stata disumana, in considerazione anche dei rapporti che la famiglia Ciontoli aveva con il ragazzo: "In quella casa Marco Vannini - ha precisato - era un ospite e come tale andava trattato".
Poi, la Pg ha sottolineato che il giovane non è morto a causa del colpo di pistola che lo ha ferito, ma a causa dei ritardo di ben 110 minuti nell'allertare i soccorsi. Per tutto quel tempo, secondo il Pg, i componenti della famiglia Ciontoli, pur essendo consci della gravità della situazione, "mantennero una condotta menzognera, omissiva e reticente". "Se metto una bomba su un aereo - ha aggiunto Ceniccola - non posso dire che non intendevo far morire delle persone. Il proiettile, nel caso di Marco Vannini, è come la bomba di quell'aereo"
Anche l'avvocato Celestino Gnazi, legale della famiglia Vannini (che si è associato alla richiesta avanzata della Procura Generale) ha voluto porre l'accento sul lasso di tempo impiegato per allertare i soccorsi.
"In quei 110 minuti, le urla di Marco sono state disumane", ha affermato sottolineando che in quelle quasi due ore i Ciontoli avrebbero "messo in atto dei tentativi programmati, lucidi e cinici per ripulire il sangue".