Perdere la vita durante un normale controllo della Polizia Stradale: anche in Italia si sarebbe verificato un episodio simile a ciò che è accaduto all’afroamericano George Floyd a Minneapolis, negli Stati Uniti. Questo almeno è ciò che sostengono i familiari della vittima: Antonio Marotta, 63enne originario di Salerno, è deceduto nel tardo pomeriggio di domenica a Fidenza, in provincia di Parma, dove viveva da anni. La causa dell’improvvisa morte al momento non è chiara. Di sicuro l’uomo è stato fermato dalla polizia stradale in viale Martiri della Libertà, mentre stava guidando la propria auto senza indossare la cintura di sicurezza.

Gli agenti l’hanno quindi sanzionato per il mancato rispetto della norma del codice della strada: a quel punto il 63enne avrebbe reagito, inveendo contro i due esponenti delle forze dell’ordine. Da qui in poi non si capisce bene cosa sia accaduto: l’unica certezza è che Marotta si è sentito male ed è morto pochi minuti dopo.

La versione degli agenti della polizia stradale

A quanto pare, in seguito al controllo, gli uomini della polizia stradale si sarebbero accorti che Antonio Marotta aveva già compiuto la stessa infrazione nel biennio precedente: quindi, gli avrebbero notificato che – come prevedono le norme – nel suo caso sarebbe scattata la sospensione della patente. Gli agenti hanno fornito una loro versione di quello che sarebbe accaduto subito dopo: alla notizia della pesante sanzione, il 63enne avrebbe perso le staffe, tanto da scendere dalla sua automobile per scagliarsi contro uno dei poliziotti.

L’uomo sarebbe stato fermato, immobilizzato a terra e ammanettato: a quel punto avrebbe accusato un malore. Non appena gli agenti si sono accorti del suo pallore in viso, avrebbero immediatamente allertato i soccorsi. Sul posto sono giunte un’ambulanza e un’auto-medica del 118 ma tutti i tentativi del personale sanitario per rianimare l’anziano sono risultati inutili.

I familiari di Antonio Marotta non credono alla versione degli agenti di polizia

La procura di Parma ha deciso di effettuare ulteriori accertamenti sull’accaduto e di aprire un fascicolo che, al momento, non avrebbe ancora indagati. Nelle prossime ore sarà disposta l’autopsia per accertare le cause della morte di Marotta. I due agenti della pattuglia saranno ascoltati dal magistrato competente, che vaglierà la loro posizione.

Tuttavia i familiari della vittima contestano la versione ufficiale dei fatti e preannunciano battaglia: hanno nominato un loro legale, l'avvocato Carlo Ambrosini, che ha subito chiesto che venga eliminato ogni dubbio su quanto accaduto. Angelo Pinto, genero di Antonio Marotta, ha rilasciato una dichiarazione in cui ha paragonato il caso di Fidenza a quello di George Floyd. “Non ci spieghiamo come sia potuto succedere – ha detto – si è trattato di un abuso di potere come quello sul povero americano ucciso”.

Pinto ha riferito di essere a conoscenza di alcune testimonianze secondo le quali gli agenti “per futili motivi, l’hanno ammanettato, buttato a terra e soffocato”, compiendo una violenza ai danni del 63enne.

Va detto che altri testimoni presenti in quei momenti avrebbero raccontato il tentativo dei due poliziotti di calmare l’uomo, prima del suo improvviso malore, dopo essere stato ammanettato.

Il sindaco di Fidenza difende i due agenti della polizia stradale

Antonio Marotta era vedovo: per lungo tempo bracciante agricolo, recentemente era andato in pensione. Secondo i familiari, da una decina d'anni era cardiopatico e soffriva di patologie respiratorie, certificate anche da un documento che il 63enne aveva sempre con sé.

Anche Andrea Massari, sindaco di Fidenza, è intervenuto sulla vicenda per difendere il lavoro degli agenti della polizia stradale. “Ho sentito parole pesanti, prima ancora che l’esatta dinamica dei fatti sia stata accertata – ha sottolineato il primo cittadino – mi sembra importante non dare giudizi affrettati su quanto accaduto”. Infine ha espresso piena fiducia nel lavoro dei magistrati che chiariranno cosa abbia portato alla morte di Antonio Marotta, invitando tutti a evitare processi sommari sui social o sui giornali.