Christian Fodde è un fiume in piena. Ieri, martedì 26 gennaio, durante l'udienza che si è tenuta nel palazzo di giustizia di Cagliari, il giovane, 23 anni, di Ghilarza, accusato di aver ucciso l'11 settembre 2018 a colpi di pala e piccozza Manuel Careddu sulle sponde del lago Omodeo, per la prima volta ha voluto chiedere scusa. Di fronte alla Corte d'Assise di Cagliari, presieduta dal giudice Massimo Costantino Poddighe, ha parlato per due minuti e mezzo al microfono: “Quel giorno ho iniziato ad assumere ketamina e marijuana – ha raccontato il giovane – anche prima dell'omicidio.
In quella giornata – assicura – non ho la minima idea di cosa mi sia preso. Non mi riconosco e non mi sono mai nascosto”.
Il corpo del povero Manuel Careddu era stato ritrovato un mese dopo, sepolto in un terreno nelle campagne di Ghilarza, in provincia di Oristano. Christian Fodde - che all'epoca dei fatti era fidanzato con la minorenne condannata in via definitiva a 16 anni - secondo le carte sarebbe l'esecutore materiale oltre che l'ideatore della trappola insieme alla giovanissima che aveva acquistato da Fodde della droga senza poi pagarla.
Lo sfogo della mamma di Manuel
Nell'aula della Corte d'Assise di Cagliari era presente la mamma di Manuel, Fabiola Balardi. La donna ha ascoltato in silenzio le parole di Christian Fodde: “Posso soltanto chiedere scusa alla famiglia – ha detto il giovane – ho causato loro un dolore immenso”.
Dopo le dichiarazioni del ragazzo è stato il turno degli avvocati difensori, Angelo Merlini, Antonello Spada e Aurelio Schintu. I legali hanno parlato per quattro ore di fronte al giudice Poddighe. Dopo le arringhe degli avvocati la mamma di Manuel è uscita dall'aula e si è sfogata: “Avrà anche chiesto scusa ma non perdono – ha sottolineato Fabiola Balardi – il significato delle parole è importante e preciso.
Scusa e perdono infatti non hanno lo stesso significato – assicura – non vogliono dire la stessa cosa e soprattutto non hanno lo stesso peso. Per me comunque le sue parole non hanno significato – sottolinea – sono vuote. Anzi aumentano soltanto il mio desiderio di vederli tutti quanti in galera per tutta la vita. Per loro non esiste il perdono – assicura – in cinque l'hanno ucciso e un sesto li ha aiutati a nascondere il corpo”.
Il complice
Nella prima udienza della Corte aveva parlato anche Riccardo Carta. Il giovane ha avuto un importante ruolo nell'omicidio. Carta infatti all'epoca dei fatti aveva preso in custodia i telefonini dei suoi amici per evitare, con ogni probabilità, che i suoi amici potessero venire rintracciati. Nonostante abbia avuto un ruolo marginale nel delitto, nel processo gli viene contestato di aver avuto un ruolo decisivo nel brutale omicidio. Custodendo i telefonini cellulari dei suoi amici avrebbe infatti creato un alibi per scagionarli. Di fronte ai giudici il giovane ha parlato a ruota libera: “Non avrei mai immaginato che potesse finire in questo modo – ha dichiarato il giovane – per me era impossibile.
Insomma una cosa assurda. Da quel maledetto giorno – assicura – la mia vita è diventato un incubo dal quale molto probabilmente non potrò mai più uscire. Avevo progetti per il futuro, stavo cercando un lavoro. Ora mi trovo in un posto in cui non avrei mai immaginato di ritrovarmi”. Lunedì prossimo, primo febbraio, i tre imputati maggiorenni scopriranno quanti anni dovranno restare in carcere. I due minori della banda stanno invece già scontando la loro condanna definitiva.