Il 16 marzo 1978, Aldo Moro viene sequestrato a Roma, in via Fani, da un commando di terroristi rossi. I cinque agenti della sua scorta sono trucidati. Trascorsi 43 anni, quel tragico evento che ha segnato la storia italiana resta in parte un mistero: ancora si indaga sul rapimento, l'omicidio dopo 55 giorni di prigionia dello statista democristiano, e il ritrovamento del suo corpo, in cerca di responsabili fino a oggi non individuati. Il gip di Roma ha autorizzato il prelievo del Dna a brigatisti già condannati, ma anche a militanti delle Br, all'epoca risultati estranei ai fatti.
Caso Moro, nuove indagini anche in Toscana
Dal punto di vista giudiziario, il caso Moro non è chiuso: oggi è possibile fare accertamenti scientifici impensabili nel 1978. Sulla base degli atti trasmessi dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, il pm Eugenio Albamonte ha chiesto e ottenuto dal gip romano Francesco Patrone l'autorizzazione a effettuare il prelievo di Dna a terroristi già condannati per il sequestro Moro, ma anche a individui finora considerati estranei ai fatti di via Fani.
Oggi, 16 marzo, ricorre l'anniversario di quella pagina buia della storia italiana. Il prelievo è già stato eseguito lo scorso 27 febbraio, negli uffici della Questura di Roma, ma anche di Firenze e Pisa perché ha coinvolto anche un pensionato fiorentino e un dipendente pubblico pisano.
Il test è stato imposto perché alcuni ex brigatisti non volevano farlo. L'ex Br Lauro Azzolini ha protestato perché "il prelievo coattivo di campioni biologici appare uno strumento pretestuoso e fuorviante che vuole gettare ombre su una realtà che è stata già ampiamente chiarita in ripetute circostanze, dentro e fuori i processi, e che appartengono alla storia politica e sociale di questo Paese.
C’è chi ne ha fatto un lucroso mestiere costruendoci sopra carriere politiche e giornalistiche".
Nuove indagini sono iniziate nel 2018, ma solo dopo la recente decisione del gip, è stato possibile procedere con il test del Dna. A che scopo? Gli inquirenti vogliono verificare se, come sospettano, su luogo del rapimento e in via Gradoli, covo e base logistica del sequestro Moro, ci fossero personaggi diversi da quelli finora accertati.
Sono ancora sconosciuti sette profili genetici trovati nella Fiat 128 Giardinetta con targa diplomatica, rubata dalle Br, una delle auto usate per compiere il sequestro. Era guidata da Mario Moretti, che è tra coloro ai quali è stato prelevato il Dna: la mattina del 16 marzo 1978, bloccò la Fiat 130 su cui viaggiava Aldo Moro oltre all'Alfetta della scorta. Al momento dell'agguato, ci sarebbe stato un uomo accanto a Moretti che ha sempre sostenuto di essere solo. Non è chiaro chi rubò l'auto per il sequestro e chi c'era nel covo di via Gradoli. In base a quanto accertato dalla Commissione d'inchiesta Moro 2, i terroristi in azione a via Fani sarebbero stati 20 e non 12, come riferirono alcuni brigatisti nel corso di cinque processi.
Il Dna prelevato andrà comparato con quello isolato nel 2016 dai 39 mozziconi di sigaretta trovati nella Fiat Giardinetta, e da altri mozziconi repertati nel covo di via Gradoli.
Aldo Moro, la pista tedesca abbandonata
Il 16 marzo 1978, in pochi istanti, a via Fani il commando di terroristi spara quasi cento colpi d'arma da fuoco. Sul posto del rapimento come poi a via Gradoli, ci sarebbe stata la presenza di terroristi della Raf, la Rote Armee Frackion, gruppo terroristico tedesco di estrema sinistra, controllato dalla Stasi, servizio segreto dell’allora Ddr, la Germania dell’Est. Avrebbero garantito capacità militare e armi di qualità.
Cinque giorni dopo il sequestro di Aldo Moro, un teste ascoltato più volte, riferì di aver visto un pulmino Hanomag-Henschel giallo con tetto bianco e targa tedesca e una Mercedes.
Nei due mezzi, viaggiavano in tutto sette persone. La pista tedesca fu poi abbandonata dagli inquirenti. Ascoltato nel 2017 dalla Commissione d'inchiesta presieduta dal deputato Giuseppe Fioroni, Bassam Abu Sharif, già consigliere di Yasser Arafat e portavoce del Fronte popolare di liberazione della Palestina, ha riferito: "Quelli che hanno sparato a via Fani non sono stati gli stessi che hanno tenuto prigioniero Moro”.
Moro, celebrazioni a via Fani
Stamattina a via Fani, alla presenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha commemorato l'eccidio e ha deposto una corona di fiori di fronte alla lapide che ricorda i cinque agenti caduti: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Mattarella ha detto che il 16 marzo 1978 resta "una data incancellabile nella coscienza del popolo italiano". Una data che "segna una ferita e un monito per la storia della nostra comunità".