Federal Bureau of Investigation è riuscito a penetrare nella residenza di Donald Trump in Florida, presso il resort Mar-a-Lago, mentre l'ex presidente si trovava a New York. Motivo di questa perquisizione è l'accusa di aver sottratto documenti riservati alla Casa Bianca dopo la fine del suo mandato. Immediata la risposta dell'ex presidente: "Un attacco dei Democratici della sinistra radicale che disperatamente non vogliono che mi candidi alla presidenza nel 2024".

La perquisizione

Il "raid" dell'FBI presso la residenza di Donald Trump è scattato alle ore 10 di mattina di ieri 8 agosto (le 16 col fuso orario italiano).

Alla fine della perquisizione, l'FBI ha portato via diverse scatole, contenenti una serie di documenti il cui contenuto non è ancora stato diffuso - nemmeno dalla CNN, che ha avuto l'esclusiva della notizia. Oltre agli scatoloni sottratti, è anche stata perquisita la cassaforte dell'ex inquilino della Casa Bianca, forse in cerca di ulteriori documenti preziosi.

Al momento del fatto Donald Trump era a New York, nella sua Trump Tower, dove è solito trascorrere l'estate. Immediata la replica dell'ex premier alla perquisizione: "Questi sono tempi bui per la nostra nazione: la mia bella casa, Mar-a-Lago a Palm Beach, in Florida, è attualmente sotto assedio, perquisita e occupata da un folto gruppo di agenti dell'FBI.

Hanno persino fatto irruzione nella mia cassaforte!".

Di questa perquisizione Trump dà la colpa ai suoi avversari politici, del Partito Democratico: "È una strumentalizzazione della giustizia e un attacco dei democratici di sinistra radicali che vogliono disperatamente evitare che mi candidi alle elezioni del 2024".

Cosa cerca l'FBI in casa di Donald Trump

Anche se ancora non si sa nulla del contenuto dei documenti sequestrati dall'FBI, è probabile che al centro di questa perquisizione ci sia la storia relativa ai "famosi" scatoloni. Da mesi gli Archivi nazionali degli Stati Uniti avevano chiesto la riconsegna di alcuni documenti che l'ex premier ha detenuto durante la sua presidenza.

All'inizio aveva rifiutato di riconsegnarli, ma per non rischiare l'incriminazione ha ceduto, e a febbraio 2022 ha consegnato 15 scatole, contenenti documenti classificati.

Nonostante ciò, gli Archivi hanno chiesto comunque l'incriminazione: sospettano che alcune scatole non siano state riconsegnate, e siano ancora in mano a Donald Trump, nella sua residenza in Florida. Davanti a questa accusa, lo stesso Trump precisa: "Dopo aver lavorato e collaborato con tutte le principali agenzie governative questo raid non annunciato nella mia residenza non era né necessario né appropriato".

Ma il sospetto rimane. La stessa ex portavoce di Trump, Stephanie Grisham, ha riportato come anzitempo l'ex presidente "non gestiva correttamente i documenti riservati.

L'ho visto passare in rassegna i documenti, buttarne via alcuni, strapparne altri e metterne in tasca altri ancora".

Donald Trump rischia una nuova accusa

Se venisse comprovata la detenzione illegale di documenti classificati, per Trump sarebbe l'ennesimo guaio giudiziario che dovrà affrontare nei prossimi mesi. Attualmente il dipartimento di Giustizia lo sta indagando per i fatti del 6 gennaio 2021 e per il tentativo di ribaltare il risultato elettorale di novembre 2020.

Nell'ambito dell'indagine sulle Elezioni USA 2020, gli stessi democratici hanno accusato Trump di frode telematica, dal momento che sembrerebbe che l'ex presidente abbia raccolto circa 250 milioni di dollari dai propri sostenitori, facendoli poi scomparire.

A questo si aggiunge anche l'affaire Georgia, ovvero il tentativo di Trump di influenzare le elezioni nello stato. Se così fosse, per Donald Trump scatterebbero le accuse per cospirazione, adescamento penale per commettere frode elettorale e interferenza intenzionale nell’esercizio delle funzioni elettorali.