La maestosa antologica Light Time Tales, nello spazio milanese Pirelli HangarBicocca, racconta lo straordinario percorso artistico dell'artista Joan Jonas (New York, 1936); curata da Andrea Lissoni, è la prima grande esposizione italiana dedicata all'artista che rappresenterà gli Stati Uniti d'America alla prossima Biennale di Venezia. Un vortice di lavori cattura il visitatore nella piazza del corpo alto e, come tra le spire di un serpente, si viene inglobati in un mondo immaginifico. I coni di After Mirage (1976-2011) invitano a perdere l'orientamento, a fare un renverser valzerino a ritmo di Waltz (2003) per poi rimbalzare in un gioco di specchi tracciando traiettorie geometriche sottilissime.

Gli specchi, usati dalla fine degli anni '60, sono oggetti che servono a scandagliare l'immagine della nuova donna moderna, come barriera posta tra l'io e il tu, e servono a riflettere lo spazio che ci circonda in ogni sua parte quasi fosse un quadro cubista. Il mezzo usato per esprimersi è la cinepresa: il video e i film (entrambi negli stessi lavori per elevarne vicendevolmente le peculiarità) riprendono frammenti di vita quotidiana sulla quale si stagliano le performance di una Joan Jonas intenta a sfidare le forze della natura, il vento (Wind, 1968) e il tempo (Songdelay, 1973) soprattutto. Joan Jonas racconta una New York sperimentale, con rigore e metodo, attraverso un personale linguaggio nutrito da riferimenti tratti sia dalla vita quotidiana che dal folklore.

Le installazioni

Lungo la navata un lungo cammino costellato di grandi installazioni con confini sempre più labili e specchi sempre più radi. La donna, ora figura mitica, viene raccontata attraverso i diari della stessa Jonas oppure con storie del passato di terre lontane. C'è il mito di Elena riscritto da una H. Doolittle in cura da Freud: su quel lettino Elena non andò a Troia, ma scappò in Egitto, lasciando gli uomini liberi di lottare tra loro per una vana illusione (Lines in the Sand, 2002).

Dall'Islanda arriva Volcano Saga (1985-1994), leggenda di Gudrun dove si contrappone la realtà del mondo onirico e la realtà dell'essere desti.

Al centro di questo sentiero, Mirage (1976-1994-2005), installazione in bianco e nero in contrasto con il technicolor che la circonda. Tutti gli elementi dell'opera sono composti in uno schematico disegno metafisico a dialogare tra loro in uno statuario silenzio.

Reanimation

Chiude la mostra Reanimation (2010-2012-2013), già presentata a Kassel per dOCUMENTA (13). Per HangarBicocca Joan Jonas ridisegna l'installazione e invita il visitatore a entrare nel cuore dell'opera, ad andare sotto i ghiacciai (l'opera è ispirata al testo Under the Glacier di Hálldor Laxness, 1968). Un lavoro a strati, come è il linguaggio di Joan Jonas, che coinvolge lo spazio nella sua totalità con disegni, video, sculture, suoni. La riflessione sui media persiste, ma non è palesata come nelle sperimentazioni degli anni '70, nelle quali il circuito chiuso delle telecamere era utilizzato per destabilizzare il pubblico (I Want to Live in the Country (and Other Romances),1976), piuttosto si tramuta in un gioco divertente; le barriere, ora, sono trasparenti e non più respingenti; gli specchi sono diventati oggetti preziosi.

La calma del Nord, dell'accettazione del mutare del tempo e degli eventi, è dolce come un canto lappone. È una fiaba prima di addormentarsi, eterna e universale. È un' intraducibile, ma empatica, Light Time Tales.