Negli anni Sessanta, negli Stati Uniti, un fenomeno artistico di grande risonanza fu quello rappresentato dai bambini dai grandi occhi che allora si credevano dipinti da Walter Keane, un americano che diceva di essersi formato come pittore a Berlino, negli anni dell'immediato dopoguerra. In effetti, Keane, nel 1946 si trovava in Germania per imparare a dipingere. A suo dire, l'ispirazione gli venne vedendo dei bambini affamati rovistare tra i rifiuti per sgraffignare qualche avanzo: lo colpirono gli occhi sgranati di fame e disperazione. Si trattò, in realtà, di un grande bluff e quei bambini dall'aria neanche troppo vagamente aliena, con gli occhioni debordanti e sproporzionati rispetto al resto del corpo, che la buona borghesia americana comprava per appendere in salotto, venivano dipinti con grande spirito d'abnegazione dalla moglie di Walter, Margaret Keane, che per sedici ore al giorno si dedicava alla loro realizzazione, per nutrire l'avidità e l'ambizione del maritino.

I due coniugi si conobbero a San Francisco nel 1955: lei restò affascinata dalla personalità carismatica di Walter e i due furono inizialmente felici. A minare l'idillio l'ego di lui, che non ebbe alcuno scrupolo a spacciare le opere della moglie per sue, costruendosi una carriera sì fittizia, ma anche redditizia, perché agli inizi degli anni Sessanta davvero tutti, in America, sembravano voler comprare i bambini dagli occhi grandi firmati Keane, sia sotto forma di originale, sia sotto forma di riproduzione su cartolina, la versione a buon mercato per i ceti meno benestanti.

Margaret Keane, che tutt'oggi è ancora viva, decise di sopportare per un decennio, pensando di fare il bene della figlia che nel frattempo era nata da quell'unione.

Poi però, cominciò a rivelare progressivamente sempre più dettagli, fino alla definitiva ribellione alle bugie alle quali il marito la costringeva. Quella che iniziò come una storia d'amore tra artisti (un aspirante tale e una effettivamente tale) finì, dunque, con un divorzio e lunghi strascichi di recriminazioni e rancori.

E così il nuovo film di Tim Burton, benedetto dalla stessa Margaret Keane che lo ha definito "molto accurato", da ieri nelle sale italiane, si presenta al pubblico meno 'burtoniano' del solito (sacrificati i tratti gotici e gli squarci visionari) e più tradizionale nelle forme e nei linguaggi narrativi: il regista si mette da parte per raccontare una storia di sopraffazione domestica e sfruttamento, indagando nelle pieghe più nascoste e oscure di un matrimonio, e trovandoci parecchia sporcizia.