Abderrahmane Sissako è un uomo di Cinema poco noto ai più, ma attivo da 25 anni nel campo: mauritano, nato in Mali, è emigrato negli anni '90 in Francia, dove ha cominciato la sua ricerca cinematografica, un eterno ritorno alla sua terra, quell'Africa martoriata e dolente, che racconta con un realismo lirico e soave, sì nitido, ma senza perdere l'incanto di uno sguardo risolutamente poetico. Vale anche per questo suo ultimo lavoro, dal titolo Timbuktu, che è piaciuto molto al Festival di Cannes del 2014 ed è candidato all'Oscar nella categoria riservata ai film stranieri.

La vicenda è semplice, ma carica di un'efficace esemplarità: il tuareg Kidane vive insieme alla moglie, alla figlioletta dodicenne e ad un pastorello in un villaggio a poca distanza dall'inferno di Timbuktu, assediata dagli integralisti islamici. Un giorno, una delle sue mucche sfugge al suo controllo, s'impiglia nella rete di un pescatore, bucandola. È l'inciampo nell'ordito lineare dell'esistenza che getta il pacifico berbero nel pieno tumulto dello strazio che si consuma appena accanto a lui e che fino a quel momento era riuscito ad eludere.

Quel che colpisce, in questo film e nella poetica coraggiosa dell'autore, è l'opposizione a ogni forma di sensazionalismo: laddove potrebbe calcare la mano sulle scene di violenza, senza contravvenire tra l'altro al principio di verosimiglianza, ma anzi restituendo intatta la brutalità del reale, lui quella mano la ritira, laddove potrebbe alzare la voce e gridare con legittima rabbia, lui quella voce l'abbassa. Un atto di resistenza che passa attraverso una scelta di delicatezza, il rifiuto di corteggiare il male, nella convinzione, prima morale che estetica, che non si debba rispondere alla violenza con la violenza, anche se questa è pur solo stilistica.

E allora, negli occhi di questo regista illuminato, anche la tragedia presenta le sue smagliature salvifiche, canali di speranza e bellezza, occasioni di vita con una loro struggente, potentissima poesia. E spesso sono le donne ad essere allo stesso tempo le prime vittime della follia jihadista e le prime depositarie delle chiavi segrete per decriptare il mistero di vivere, nonostante il male.