È di alcune ore fa la notizia che “Inside Out” è il lungometraggio Disney più visto in Italia negli ultimi dieci anni e chi, come la sottoscritta, ha contribuito a questi numeri andando a vederlo proprio ieri sera, dopo più di tre settimane di permanenza nelle sale, non può fare a meno di cogliere l’occasione per aggiungere i suoi due cent alla discussione su un film d’animazione che sta commuovendo grandi e piccini.

Le ragioni di un successo formidabile

È stato a più riprese detto che “Inside Out” non è soltanto un film per bambini, anzi, sembra costruito più per essere rivolto ai genitori, che accompagnano quei bambini in sala, e agli adolescenti e agli adulti che sono ancora affezionati al Cinema d’animazione e non mancano un appuntamento con la Pixar. È verissimo. “Inside Out” è quel genere di film rivolto a una platea molto ampia, che offre diversi livelli di lettura a seconda dell’età del suo spettatore, perché è capace di raccontare una storia universale, fatta di distacchi, di perdite, della fatica di crescere e di imparare a rapportarsi con emozioni nuove, non sempre positive.

Così se i bambini forse si incanteranno sui paesaggi fantastici nascosti nella mente dell’undicenne Riley, terre immaginifiche capaci di ignorare ogni regola di buon senso, i più grandi finiranno per essere coinvolti da quelle emozioni che si agitano smarrite nella sua testa e cominciano appena a provare le prime difficoltà che comporta la crescita, difficoltà che tutti, bene o male, abbiamo provato attraversando eventi più o meno traumatici delle nostre vite.

È quasi impossibile non commuoversi di fronte allo smarrimento di Riley e al viaggio faticoso e drammatico che Gioia e Tristezza dovranno affrontare, alla ricerca di una strada per tornare a casa ma soprattutto al senso del dolore e della confusione che stanno provando insieme alla loro padrona.

Perché arrendersi alle lacrime non è sempre sbagliato

Con una caratterizzazione molto calzante, che dà a ogni emozione pregi e difetti collegati alle sensazioni che è capace di suscitare, ci ritroviamo davanti una Gioia prepotente ma solare che deve contenere la sua voglia irrefrenabile di agire, imparando ad accettare la “collega” Tristezza, forse troppo spesso vittima del suo pessimismo cosmico ma anche capace di capire il dolore degli altri e aiutarli a sfogarsi, per poi sentirsi meglio dopo aver elaborato le cause della propria sofferenza.

Inside Out” si rivela così un film per grandi dove, messe da parte le spericolate avventure nella mente di Riley, fatta di tanti livelli colorati ed esagerati – a volte persino spaventosi – come quelli di un videogioco, si ha il tempo di accorgersi che la tristezza è un’emozione fondamentale, che non può essere rigettata solo perché ci rende meno piacevoli ed efficienti agli occhi degli altri.

Imparare a esternare il proprio disagio, piangere, parlare delle proprie sensazioni negative diventa così un passo fondamentale per crescere. Una lezione che non vale solo per Riley, naturalmente, ma per tutti gli spettatori del film. Soprattutto noi, i più grandi, troppo spesso abituati a pensare al successo a tutti i costi per ricordarci che anche il fallimento è un aspetto imprescindibile delle nostre vite e che piangere, dopotutto, non è così sbagliato.