Sul limitare di Piazza Navona, lì dove una volta sorgeva Palazzo Orsini, si erge oggi Palazzo Braschi, un palazzo dal magnificente apparato decorativo che, donato dal papa Pio VI al nipote, costituisce uno degli ultimi esempi dello scintillante lusso del nepotismo papale. Il palazzo, poi acquistato dallo Stato Italiano nel 1871, è stato prima sede del Ministero dell'Interno, quindi di alcune istituzioni fasciste e dal 1952 è sede del Museo di Roma. Il luogo è stato scelto come lo scrigno ideale per esporre, sino al 7 maggio 2017, le più importanti opere della grande artista seicentesca Artemisia Gentileschi, concesse in prestito da prestigiose istituzioni per la mostra in corso "Artemisia e il suo tempo".

Intento dell'esposizione è quello di far conoscere la storia personale e professionale di Artemisia e di mostrare al grande pubblico sia le opere della pittrice sia quelle di altri suoi colleghi pittori che ne influenzarono il percorso artistico o con cui collaborò direttamente. È così che, tra i tanti notevoli quadri esposti, ci sono la Giuditta e la fantesca Abra e Giuditta che decapita Oloferne dalla Galleria degli Uffizi e Santa Cecilia dal Museo Nazionale del Prado, ma anche numerosi quadri da collezioni private, eccezionalmente visibili al grande pubblico.

La storia di Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi era figlia d'Arte, essendo stato il padre Orazio anch'egli pittore. Nel 1612, solo diciannovenne, Artemisia si ritrovò al centro delle cronache romane, perché aveva osato fare quel che poche altre avevano mai fatto: denunciare uno stupro.

Il violentatore, il pittore Agostino Tassi, era un paesaggista amico del genitore. Alla fine, il processo si concluse con la condanna dello stupratore all'esilio, ma la reputazione di Artemisia ne risultò irrimediabilmente danneggiata. Il padre, per porvi rimedio, la diede in sposa, solo due giorni dopo la sentenza, al pittore fiorentino Pierantonio Stiattesi.

Il matrimonio fu celebrato nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, che ancora oggi sorge, sulla riva del Tevere, tra Castel Sant'Angelo e la Basilica di San Pietro. Fu per Artemisia l'inizio di una vita ricca e intensa, fatta di grandi soddisfazioni e di altrettanto grandi patimenti, tra le città di Firenze, Roma, Napoli e Londra.

La talentuosa figlia di Orazio Gentileschi seppe unire il rigore nel disegno, appreso dal padre, all'attenzione al dramma, imparata osservando la lezione che Caravaggio dispensava con le sue pale d'altare nelle più importanti cappelle romane. Fu così che Artemisia divenne la prima artista donna ad essere ammessa, nel 1616, nella fiorentina Accademia delle arti del disegno. La storia di Artemisia è anche il soggetto di un recente romanzo della nota Susan Vreeland, dal titolo La passione di Artemisia.

La violenza sulle donne nei quadri di Artemisia

Artemisia Gentileschi è stata una artista di primo ordine, ma, soprattutto, una donna stuprata da giovane che ha dovuto rinascere dopo essere stata non solo vittima di violenza ma anche esposta al pubblico ludibrio.

È per questo che la critica ha evidenziato come i suoi quadri rappresentino donne decise, pronte a sopportare qualsiasi fatica. È nei suoi dipinti che si possono osservare tutte le più vere emozioni femminili. Così la sua Giuditta che decapita il condottiero assiro Oloferne, esposta anche nella mostra, non è la fragile fanciulla dipinta dal Caravaggio, ma una donna forte, consapevole del ruolo che sta svolgendo per la storia del proprio popolo. Allo stesso modo, la Susanna biblica, ingiustamente accusata di aver tradito il marito per non aver voluto soggiacere ai ricatti lussuriosi di due vecchi, è nel dipinto di Artemisia una donna violata e minacciata dalla laidezza di uno sguardo, mentre quella riprodotta dal Tintoretto o dall'Allori è una donna voluttuosa e discinta che sembra quasi compiacersi dello sguardo rapace di chi la insidia.