“Ogni famiglia ha la sua storia, io sono orgoglioso di quella della mia, nessuno scappa dalle proprie origini” questa è la frase con cui Massimo Calabresi ha chiuso la presentazione della mostra “Una famiglia ferrarese ebrea: la storia d’Italia raccontata dai “Calabresi”” che sarà visitabile fino al 26 febbraio al Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara. Una frase che racchiude tutto il senso dell’esposizione, curata da Antonella Guarnieri con la collaborazione di Elena Ferraresi e Martina Rubbi. “In occasione della #GiornatadellaMemoria, abbiamo voluto rendere nota la storia di una famiglia ebrea che si era perfettamente inserita nel tessuto sociale, economico e culturale della città – ha spiegato proprio la Guarnieri, rivolgendosi soprattutto agli studenti del Liceo Carducci presenti all’inaugurazione – è importante ricordare che gli Ebrei si trovavano a Ferrara già prima del periodo medioevale, hanno avuto un ruolo fondamentale durante il Rinascimento, il Risorgimento e la Prima Guerra Mondiale, fino all’emanazione delle #LeggiRazziali nel 1938, il viaggio nella vita della famiglia Calabresi è uno spaccato di tutto questo”.
1870: lettere da Terracina
Il primo volto che si incontra in mostra è quello di Giuseppe Leon Calabresi “ma i racconti di mio padre Sergio che a sua volta ricordava quelli di mio nonno Giuseppe partono dal bisnonno Luciano che partecipò alla presa di Porta Pia - racconta Massimo, nato nel 1943 – e che nel 1870 scrisse una lettera alla famiglia, oggi in mostra, da Terracina per ringraziarla di avergli spedito del denaro. Lui, che fu sottotenente, tenente e poi capitano e la mia bisnonna sono sepolti nel cimitero ebraico di Ferrara, vicino alla famiglia Bassani”. Luciano ebbe quattro figli, tra cui Giuseppe, nonno di Massimo e Margherita, una violinista che morì nel 1921 durante l’attentato di matrice antifascista al Teatro Diana di Milano.
Salvati da un numero sbagliato
Gli anni e le generazioni passano, Giuseppe nel 1939 si converte con un testamento spirituale (anche questo in mostra) e il figlio Sergio, padre di Massimo e del fratello di tre anni più grande Luciano, si converte sposando una non ebrea, ma questo non ferma le persecuzioni e così il 14 novembre del 1943 i fascisti si presentano in via Vittoria 53 per arrestare Giuseppe e Sergio ma loro abitano al 33 e per un numero sbagliato si salvano rifugiandosi poi a Sabbioncello San Vittore.
Un’altra Calabresi
Enrica Calabresi, figlia di un ramo diverso della famiglia ma nata sempre a Ferrara, merita una parte della mostra: era del 1891, la sua passione erano le Scienze Naturali e siccome questa facoltà a Ferrara non c’era si trasferì a Firenze dove si laureò ed ottenne, ancora prima della discussione della tesi, un posto di assistente.
Nel 1938 a seguito delle Leggi Razziali venne cacciata dall’Università e fino al 1943 insegnò scienze nelle classi superiori della scuola ebraica di Firenze. Nel gennaio del 1944 venne arrestata a casa sua e portata nel carcere di Santa Verdiana dove, pur di non essere deportata in un campo di concentramento, si suicidò ingerendo del fosfuro di zinco che conservava in una fialetta che ormai da tempo portava sempre con sè. Ma perché nonostante tutto era rimasta a Firenze, nella sua casa? Lo racconta con incredibile lucidità il nipote Francesco Calabresi, figlio del fratello e oggi 93enne: “La incontrai a Firenze poco prima del gennaio del 1944 e lei mi disse che era molto spaventata ma che non poteva nascondersi perché aveva troppa paura di compromettere qualche altra famiglia non ebrea”.
Per non dimenticare
“Bisogna capire bene la storia, per non dimenticare e per non commettere mai più gli stessi errori, specie in questo periodo in cui assistiamo a un pericoloso ritorno di forme di razzismo”, un’altra frase, questa volta del presidente del Consiglio comunale Girolamo Calò, che sottolinea l’importanza di visitare mostre come questa, aperta dal martedì alla domenica dalle 9,30 alle 13 e dalle 15 alle 18.