Abbiamo seguito con attenzione la prima di arrival, il nuovo film di Denis Villeneuve che sulla carta sembra davvero interessante. Le premesse sono infatti allettanti: Arrival basa il fulcro della sua trama su solide basi scientifiche, vale a dire: se dovessero arrivare gli alieni sulla Terra, come potremmo comunicare con loro? E, soprattutto, va sottolineata la giusta interpretazione secondo la quale gli alieni potrebbero scegliere un tipo di scrittura basandosi su una diversa concezione del tempo rispetto a quella che abbiamo noi. Se la scrittura degli esseri umani occidentali, infatti, è lineare da sinistra a destra proprio perché considerano così lo scorrere del tempo, molto probabilmente sarà diverso per una razza aliena.
A ben vedere, già sul nostro pianeta questa idea trova una conferma: i giapponesi scrivono dall'alto verso il basso e raffigurano allo stesso modo lo scorrere delle ore e dei giorni.
Gli alieni di Arrival
La scrittura degli alieni di Arrival è circolare. L'affascinante idea di fondo del film è che anche la loro concezione del tempo possa essere circolare. Su questo punto si snoda l'intera vicenda. Ma concentriamoci sul film. Cosa funziona e cosa no?
L'incipit è semplice: una serie di navi spaziali, dodici per l'esattezza, stazionano in varie zone della Terra: prima in Montana, poi in Cina e Russia, fino a coprire l'intero globo. Non fanno niente e, soprattutto, non attaccano. L'umanità decide di provare a dialogare.
Certo, l'inizio non è nuovo: abbiamo visto lo stesso tipo di invasione in Indipendence day (superiore al distastroso Independence day 2) o in Signs, ma va dato atto che qui è diverso. Tutto sembra circondato da uno strano alone di pacata attesa, ma al contempo si resta desti, attenti a non fare la mossa sbagliata per non provocare l'apocalisse.
C'è infatti un problema di fondo: gli alieni usano un linguaggio indecifrabile quindi nessuno riesce a capire cosa vogliono.
Purtroppo poco dopo iniziano i soliti cliché del genere: militari che provano inutilmente a gestire la situazione, un esperto della CIA che coordina il tutto, l'idea di rivolgersi a una docente esperta di linguaggio per provare a comprenderli (tra l'altro, la prima scena la ritrae durante una sua lezione semi-deserta, l'ennesima scelta degli sceneggiatori di fantascienza di affidare il destino del mondo a professori con carriere disastrose), docente che guardacaso va a formare una coppia perfetta con un fisico chiamato per darle una mano, fino a un finale estremamente forzato, ma che sembra anche l'unico possibile.
Tuttavia, non ci sentiamo di sconsigliarlo. L'interpretazione di Amy Adams è ottima, così come la regia. E il tema resta suggestivo.