I nove critici italiani che attribuiscono i premi per la categoria “ItaliaFilmFest/Lungometraggi” del Bif&st non hanno avuto dubbi: all’unanimità hanno assegnato a Valeria Bruni Tedeschi il “Premio Anna Magnani per la migliore attrice protagonista”. La sua Beatrice Morandini Valdirana in La pazza gioia di Paolo Virzì è un personaggio che sarà difficile da dimenticare. “Accade raramente una congiunzione di astri simile – spiega l’interprete – la vita intima reale che in parte si confonde con la finzione. E poi il regista, il clima umano che si instaura, la troupe, Micaela Ramazzotti: tutto ciò permette a un personaggio di volare”.

In realtà Francesca Archibugi, sceneggiatrice della pellicola insieme a Virzì” ha confermato in un altro incontro del festival barese, che l’idea del film è venuta al regista, proprio osservando Valeria e Micaela parlare insieme in un angolo buio del set, durante le riprese del Capitale Umano. Quindi si è partiti già avendo in mente chi avrebbe recitato la parte.

Il discorso ai David

Una scelta fortunata che ha fruttato alla Bruni Tedeschi tanti riconoscimenti, a partire dal David di Donatello, che tutti ricordano per quello stralunato discorso di ringraziamento pronunciato la sera della premiazione: “Quel giorno lì ero un po’ stramba – esordisce scherzando l’attrice – ho avuto l’idea di fare dei ringraziamenti particolari ascoltando il bel discorso di Roberto Benigni al Quirinale sul dovere morale e l’etica di chi fa cinema, quindi ho deciso di andare fino in fondo, cercando di dire qualcosa di mio.

Nei film, così come a teatro, gli incidenti possono creare qualcosa di meraviglioso: quando il mio abito si è impigliato nelle scarpe, prima che salissi sul palco per ricevere il premio, ho capito quel che stava per accadere”.

Il lavoro di attrice e quello di regista

L’attrice torna in seguito sul suo rapporto con i personaggi interpretati: “Ho sempre messo un po’ della mia solitudine e fragilità nelle donne che ho portato sullo schermo, anche quando ho fatto caratteri diversi”.

E poi ancora: “Non esiste un metodo unico per approcciare una parte, spesso ho sentito il bisogno di lavorare con la mia intimità per prepararmi meglio”. Valeria confida di selezionare i copioni in base al regista “anche se nel lavoro dell’attore ci sono anche dei periodi in cui non è possibile scegliere”. La doppia carriera, in Francia, dove a lavorato a lungo a teatro, e in Italia l’ha aiutata in questa libertà.

Tuttavia per non “rimanere in balia dei registi in quel mestiere tanto appassionante, quanto destabilizzante dell’attore”, la Bruni Tedeschi ha anche diretto tre film “intimi e autobiografici” in cui ha portato la sua esperienza d’attrice. Quindi, ricordando il suo primo documentario, Una ragazzina di 90 anni, in cui racconta l’iniziativa di un corso di danza avviato in un ospedale per malati di Alzheimer, saluta il pubblico di Bari con una battuta: “In fondo il mio mestiere mi consente di incontrare persone e riuscire così a superare la solitudine”.