E non c’è scampo: ovunque ti giri e ti volti quest’anno il Premio cinematografico “David di Donatello” parla in napoletano. E non solo figurativamente parlando, ma pure e molto nella forma cantata di “Bang Bang” scelta come colonna sonora vincitrice dal film “Ammore e Malavita” dei Manetti Bros, cantata da Franco Ricciardi, scritta da Nelson, e musicata da Pivio / De Scalzi. Anche se la cifratura napoletana della musica da film non è una novità al “David” dal momento che già nel 2014 aveva trionfato il duo Ricciardi / Nelson con “A verità”. Sempre come colonna sonora del precedente e fortunato film dei Manetti Bros “Song ‘e Napule” (titolo ripreso da una serie radiofonica Rai degli anni 90).
Neapolitan sound
Franco Ricciardi ha un curriculum artistico con due piedi dentro tutto ciò che di nuovo Napoli ha espresso musicalmente, e che si riassume troppo frettolosamente con l’etichetta di “neomelodico”. Cantante dialettale di lungo corso, parte, è vero, dalle serate di piazza rionali delle teen-ager adoranti e mamme al seguito, dalle canzoni “nasali” che reinterpretano la melodia pop italiana col tocco sovra-sentimentale e gli inconfondibili vocalizzi “gargareggianti”. Ma approda poi a collaborazioni con tutti gli sperimentalismi che hanno lambito un retroterra musicale popolare e di popolo sempre curioso ed aperto: dai 99 posse, a Clementino, a Guè Pequeno, a Rocco Hunt, a Luchè; dalle suggestioni nord africane, all’Urban sound, al rap impegnato e rielaborato.
E quindi ai musical dei Manetti Bros.
Alessandro Nelson Garofalo, in arte brevemente “Nelson”, cantautore professionista, è autore dei testi dialettali sia della precedente “‘A verità” e sia di “Bang Bang” e sia di tutte le 15 canzoni del film vincitore quest’anno. Film che gli stessi Manetti Bros definiscono (come Song ‘e Napule) “Crime musical”, così come Nelson ama presentarsi alla stregua di un “librettista” o sceneggiatore d’opera più che come autore di testi.
Entrambe le definizioni mirano cioè a dare al lavoro d’insieme il senso di un intreccio ricercato e osmotico tra trame sempre intessute nell’humus simil-gomorra in chiave commedia ed espressione canora come marchio di appartenenza e colonna narrante. Dove i testi fungono da narrazione e dialogo, come, appunto può accadere tra un libretto d’opera e una messa in scena.
Un humus di cui capostipite forse fu una canzona ormai stabilmente nella top-list neomelodica da piano bar: “O latitante”, una sorta di sceneggiatura musicata della dolorosa e straziata latitanza di un presunto (ovviamente) innocente, ricercato però si presume per crimini di camorra.
Neapolitan scene
Ma i Manetti Bros (Bros sta per fratelli, quali sono i due autori) che per tutta la serata vedono assegnare premi legati al film, dalla musica alla scenografia alla miglior attrice non protagonista (Gerini), e che quindi ci sperano, si montano d’ansia che infine esplode nell’annuncio finale della loro opera "Ammore e malavita" premiata anche nella più ambita categoria film.
Opera “strampalata” che conferma e rincara la loro poetica musical, con ambientazione, loro romani, rigorosamente a Napoli, in un turbinio di azione, canzone, balletti, che sovrappone la sceneggiata napoletana a Gomorra a “West Side Story”, o, per rimanere in tema operistico a “la Cavalleria Rusticana".
Ma ecco, nel tentativo “estremo” di ripensamento artistico della cinematografia, che s’avanza ancora un’eccellenza napoletana, nientemeno che in un genere “cenerentola” del panorama italiano come l’animazione. Ed infatti di “la Gatta Cenerentola” trattasi, che riprende liberamente il racconto dialettale di Basile (antesignana della universale “Cenerentola”) e già a suo tempo nel 1976 messa magistralmente in musica da Roberto De Simone (o "rimessa" data la sapienza “filologica” sull’antichissima canzone dialettale e popolare campana).
Gli autori dell’opera animata, che si sono aggiudicati i premi per effetti speciali e produzione, sono riuniti nella MAD, una fucina di iniziative visive che con pochi mezzi e grandi talenti ha saputo far nascere coi loro giovani autori una piccola avanguardia nazionale ed europea di Cinema d’animazione.
Hanno scelto non a caso come propria sede, ideale passaggio di testimone storico, il palazzo in Piazza del Gesù dello stranoto e cult episodio del surreale duello a scopa, tra l’anziano psicotico nobile (De Sica) e il ragazzino del popolo sfrontato e imbattibile, in “l’Oro di Napoli”.
Ed ancora, per finire, i premi alla scenografia (ex aequo) e fotografia alla “Napoli velata” del regista Turco, ma ormai romano di adozione, Fernan Ozpetek. Un tributo personale, tra l’esoterico e l’estetico ad una città ritratta in una intimità cupa ma non mortifera, ma anzi pienamente vitale in un ciclo vita-morte unico ed infinito, tra vicoli eterni.
Neapolitan pride
Ed infine ancora un omaggio allo “spirito” napoletano, a quella “tenerezza” che intitola il film del regista Amelio tratto da un romanzo di altro napoletano, Lorenzo Marone.
Definita come “virtù rivoluzionaria” sul palco. A declamarla in modo commosso e commovente per la platea, l’attore ormai decano settantacinquenne del mestiere Renato Carpentieri, cresciuto giovanissimo artisticamente sui palcoscenici teatrali napoletani. Ancora in nome di quei vicoli, e della “città velata” del teatro e del cinema, viene chiamato a ricevere il premio come miglior protagonista.
Di un grande spirito dunque trattasi, rievocato e palesatosi sullo sfondo del “David di Donatello”: quello di un’intera città, fatto di una Napoli rappresentata e di napoletani rappresentanti e protagonisti. Una serata su cui irrompe via facebook la politica per accampare la sua piccola fetta di merito per la rinascita anche artistica della martoriata Partenope.
E’ il sindaco De Magistris ad affidare ad una nota il suo “Orgoglio napoletano” : "Napoli domina i David di Donatello... intense interpretazioni, magiche scenografie, fotografia straordinaria, costumi originali, bellissimi testi e magnifiche musiche, grandi produzioni ed effetti digitali davvero speciali. Dietro a tutto questo successo c'è fatica, competenza, sacrificio, passione. Napoli è una potenza di talento ed energia. Ci ho creduto sempre, anche quando pochi ci credevano. Ora siamo in tantissimi".
Speriamo che a crederci siano ancora e sempre con le parole di “Bang Bang” : “A vita mia mo' a dongo a tte / Che ‘a vita toja poi ce penzo io / Che a vivere davvero è solamente chi se sape ancora annammura' / E vince e sopravvive a tutto cosa”.