Casi notevoli, casi clamorosi, casi che ci vedono da due parti contemporaneamente: dalla parte dei genitori, che considerano la Scuola come un luogo “protetto” in cui i figli vengano trattati come in una seconda casa; dalla parte della pubblica opinione, che si rende conto che certe “contestazioni” agli insegnanti hanno raggiunto livelli di guardia che non si possono più accettare.

Un caso lungo cinque anni

Ecco il caso della diffamazione. Giuseppe Diso, docente di letteratura dell’istituto Cezzi De Castro di Maglie (LE) (uno dei migliori in base ad una recente classifica) viene accusato nel 2013 da due alunne, cui ha comminato votazioni decisamente molto sotto la sufficienza, di vessazioni, insulto alla loro dignità e di averle insomma “prese di mira” in maniera discriminante e insolente.

Il preside, pur raccogliendo dalla classe una adesione molto tiepida alla tesi delle ragazze, anzi forse più propensa a salvare la faccia del “prof”, decide di sospenderlo dall’insegnamento, in base alla legge Brunetta. Per cinque lunghi anni il prof decide di opporsi, destinandosi così ad una lunghissima astinenza dall’insegnamento, cioè ricorrendo alla giustizia. Che alla fine in questi giorni gli darà ragione, contestando, semplicemente, che le accuse «non risultano supportate da sufficienti elementi concreti di riscontro». Per la verità il Ministero neppure aveva nominato un legale, e nel frattempo il preside era stato “avvicendato”. Ma il ricorso di Diso è servito, nelle sue intenzioni, a tenere duro sul principio che non ci si possa consegnare mani e piedi ad un “ricatto” studentesco che poteva essere messo in piedi di nuovo e da chiunque, fosse anche solo per “condizionare” ed ammorbidire la serenità di giudizio di un docente.

Le aggressioni a catena

Milano, 18 maggio, un bambino notoriamente “vispo” viene preso per un braccio dalla maestra che tenta di sedare una piccola zuffa, dice lei; strattonato e “graffiato” senza motivo, invece riferirà lui alla madre. Che non si rivolge al preside, non chiede spiegazioni, non ha tempo e voglia di chiarimenti, ma entra in classe, urla, spintona e prende a schiaffi la maestra, rea o meno, certamente colpevole per il figlio, e questo basta, evidentemente.

Viareggio mercoledì 16, provincia di Lucca già teatro del famoso video dell’alunno che intima al prof di dargli la sufficienza e lo sfida al “comando”: sempre una madre si reca in un Liceo, in classe, fuori orario di ricevimento, e chiede spiegazioni su un 4 secco appioppato in Filosofia al figlioletto adolescente. Immaginiamo il dibattito, i toni che si accendono e la prof che forse rivendicherà il suo diritto-dovere ad un giudizio, per quanto negativo sia.

Ed ecco che la madre dopo le minacce verbali passa ad afferrare il collo della docente, facendo giustizia sommaria a sé e al pargolo.

Napoli, Fuorigrotta, giovedi 17, scuola materna Leopardi. Sempre una madre, ancora accuse alla maestra di aver ripreso e strattonato il suo piccolo procurandogli un livido. Prima i chiarimenti dal Preside, che sembravano aver risolto la cosa, poi il raid in classe poco dopo con una sequela di schiaffi e colpi al capo così veementi e insistenti che tramortiscono l’insegnante, ed ancora intervento del personale scolastico ormai nella funzione spesso di pubblica sicurezza che mai dovrebbe avere in ambito scolastico.

La morale della storia

A prescindere dalle responsabilità e dalla realtà dei fatti, ci siano o meno stati atteggiamenti impropri o lesivi dei ragazzi, o siano frutto delle sensibilità particolari di bambini o adolescenti o arbitrarie deduzioni “sentimentali” dei genitori, di certo le vicende colpiscono.

Per la loro continuità, per la tendenza quasi sempre di madri, forse particolari e privilegiate destinatarie di lamentele e richieste di difesa da parte dei figli, ad affrontare in maniera diretta e non filtrata le rivendicazioni, a far valere una giustizia sommaria che pochissimo risente di valutazioni e considerazione del ruolo “specifico” ed educativo degli insegnanti. Giudizio e voto che vengono visti come strumenti coercitivi e infamanti, privi di contenuti educativi, la scuola mal tollerata come dovesse essere un imperfetto surrogato materno e casalingo, una diffidenza che mal si comprende essendo nella quasi totalità dei casi i docenti a loro volta padri e madri e quindi a rapporto stretto con certe problematiche infantili e adolescenziali.

Insomma quello che anche dovrebbe esprimersi tramite l’autorevolezza del corpo docente e scolastico troppo spesso vissuto come un esercizio abusivo di potere non riconosciuto. E i presidi? dotati di poteri nuovi riguardo il corpo docente, ma troppo spesso sprovveduti totalmente del potere di custodi e garanti di quel patto alunni-docenti-genitori che è da sempre essenza e principio della formazione scolastica.