La questione della libertà su internet nasce con internet stessa, con la sua stessa natura. Luogo di ogni possibile commento, archiviazione, condivisione, contenuto. Il suo successo è legato all’idea di qualcosa di fruibile quasi in assenza di regole e condizionamenti. Ma ovviamente così non può essere.

L'Europa si interroga

il 5 luglio il Parlamento europeo si è di fatto spaccato su una votazione che si era tinta di verdetto pro-contro la libertà di condivisione su internet, seppure trattavasi di una pura “disponibilità” e non c’era nessuna legge precisa da votare, ma solo un “avvio ai negoziati”, tra commissioni, consiglio e parlamento: 318 a favore e 278 contrari, 31 astenuti.

Ma su cosa ? Nella fattispecie si discuteva sul copyright e sull’applicazione di regole per l’editoria sul web.

Sono migliaia solo in italia le testate esclusivamente on-line che riportano un numero elevatissimo di articoli, commenti, notizie a carattere nazionale come locale, che fino ad oggi non possono vantare alcun diritto su ciò che pubblicano, nel senso che internet può di fatto cannibalizzare, usare e riciclare tutto il materiale presente sui loro siti, creare link e collegamenti senza alcun onere e alcun riconoscimento di diritto d’autore sul materiale.

I pro erano a favore quindi della necessità di un regolamento che disciplinasse la materia in favore dell’editoria, i contro si opponevano in buona sostanza a “qualsiasi forma di bavaglio” sulla rete, come negazione dell’accesso libero alle notizie avrebbe secondo loro reso difficile se non improbabile il flusso di notizie e di contenuti alla portata di chiunque abbia un semplice accesso alla rete, senza oneri aggiuntivi e gravosi.

Ha vinto dunque il fronte del no, per il momento, almeno ritardando la questione a settembre, e forse in tempi non utili ad una ridiscussione prima delle incipienti elezioni europee che azzereranno i giochi.

I colossi del Web

Per capire e toccare con mano l’entità della cosa, basta guardare a Wikipedia Italia, che in vista della votazione aveva deciso una protesta clamorosa con tanto di messaggio: l'oscuramento del sito e dell’accesso alla biblioteca.

Per la più nota e famosa biblioteca on-line, che è diventata ormai quasi un imprescindibile riferimento di ogni ricerca certificata e controllata, si trattava di un colpo al cuore. Per un sito che vive di accesso e utilizzo delle informazioni provenienti dal web, il pedaggio all’editoria si sarebbe evidentemente trasformato in una uscita economica insostenibile.

Di qui la campagna radicale e la richiesta di pressione sul parlamento e sui parlamentari europei.

Se Wikipedia non è a scopo di lucro, ma funziona più come come una community che si scambia e integra informazioni, come una open-source enciclopedica, che ne pensano invece i grandi colossi che ben guadagnano sul web e la fanno da padroni? Come ben ricorda il caso Cambridge Analytica e dei dati usati in campagna elettore.

Facebook e Google sono ovviamente schierate, anche se non ufficialmente, ed economicamente interessate, verso una totale deregolarizzazione del sistema internet, che consenta loro di sfruttare l’enorme mole di dati, notizie e materiale d’autore senza alcun onere accessorio. Insomma, ricavare guadagno sul mancato guadagno altrui, come accuserebbero invece gli schieramenti politici del pro-copyright.

Note d’altronde già alle cronache sono le vicende delle battaglie legali e fiscali che hanno visto alcuni paesi, tra cui l’Italia e poi l’Europa, imporre il pagamento di imposte su tutto il traffico generato da utenti locali, indipendentemente dalle sedi legali dei colossi, in base al principio che, laddove il guadagno viene generato, là vanno onorate le leggi fiscali e tributarie. Quello che oggi vorrebbero gli editori, in buona sostanza. Che gli venga riconosciuta la paternità e quindi la proprietà economica e di avanzare diritti commerciali su quello che poi, soprattutto i grandi colossi, più che il singolo utente, vanno ad utilizzare

La Politica

Ma la Politica europea e nostrana da che parte si volta?

Anche i fronti pro e contro editoria sono davvero trasversali e molto atipici, come accade nei casi di coscienza, potremmo dire. Non che manchino espressioni compatte e ben definite. Per il pro copyright sarebbe tanto l’area popolare che raggruppa destra e centrodestra dei singoli paesi membri, tanto l’area socialdemocratica dei partiti progressisti e della sinistra moderata, in una comunanza di vedute che forse vuole i primi privilegiare i diritti liberali della impresa privata e i secondi la garanzia della pluralità e forza dell’informazione. Per il no copyright sono schierate le formazioni estremiste tanto di destra che di sinistra, refrattarie a qualsiasi restrizione di accesso internet, ostili al controllo ed al lucro sul libero scambio di idee ed informazione, ma anche le formazioni cosiddette “populiste” o, per meglio dire, non ben identificabili nei vecchi schemi politici conservatori-progressisti.

In Italia è singolare che abbiano esultato per l’esito negativo i due alleati di governo M5s e Lega, non propriamente ben visti in Europa secondo alcune testate straniere; il primo estraneo appunto a generalizzazioni politiche e identificazioni ideologiche, il secondo che, anche appartenendo all’area popolare europea, se ne distacca nettamente in questa occasione. Ovviamente anche nei due fronti schierati non mancano singole voci dissonanti e distinguo.

Intanto, questo rinvio potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro o una vittoria definitiva. La questione verrà riaperta a settembre, e forse potranno esserci modifiche e interventi pesanti dall’una e dall’altra parte per far rivedere le posizioni dei parlamentari (oggetto di notevoli pressioni si può presumere, data la posta in palio e i contendenti economici) e quindi magari venire ad un compromesso.

Oppure i tempi non saranno tecnicamente sufficienti di qui alla fine della legislatura, e magari ci sarà spazio per provvedimenti dilatori che di fatto metterebbero per ora la parola fine alla regolamentazione del copyright editoriale sul web europeo.