Ho avuto modo tramite una ricerca di imbattermi in questa mostra che dal 2016 ad oggi continua ad essere portata in giro per l'Italia, la mostra organizzata dalla dottoressa Annacarla Valeriano è intitolata "i fiori del male". È stato il nome ad attirare la mia attenzione e così sono andata alla ricerca del contatto della dottoressa, che gentilmente si è messa subito in contatto con me.
L'intervista
Lei ha realizzato nel 2016 una mostra intitolata “i fiori del male”. Questa aveva come soggetto le donne nei manicomi al tempo del fascismo e quindi possiamo anche dire le loro memorie ed una realtà scomoda.
La mia domanda iniziale è i manicomi hanno sempre rivestito questo luogo nelle società passate, cioè di luoghi in cui segregare gente che potremmo definire scomoda, come donne libertine e pensatrici indipendenti, oppure questa forma è venuta a nascere unicamente sotto il fascismo?
In Italia i manicomi nascono, già nell'800, come strutture di contenimento della devianza e del disagio sociale e come luoghi di assistenza al disturbo psichico. Quest'ultimo aspetto tuttavia, nella storia istituzionale dei manicomi, finisce spesso per passare in secondo piano: prevalgono aspetti di custodia di quanto è considerato marginale e disfunzionale rispetto alla società e l'azione di normalizzazione, soprattutto nel caso delle donne, agisce in molti casi sulla sfera etica.
Con il regime fascista si assiste a un potenziamento delle funzioni repressive dei manicomi che diventano ulteriori luoghi nei quali esercitare una politica di sorveglianza delle condotte. Le condotte femminili non allineate agli stereotipi di genere scontano, più che in passato, il prezzo più alto.
Nonostante questo lato così oscuro come molti altri del periodo fascista, ci sono dei momenti diversificati cioè mi spiego meglio; le donne con l’avvento del fascismo si trovano a dover fare dei passi indietro, rispetto alle piccole autonomie che erano riuscite ad ottenere con la fine del primo conflitto mondiale.
Tornano dunque ad essere viste unicamente come madri e mogli, non più lavoratrici. Eppure dall’altra parte della medaglia il fascismo userà l’immagine della donna moderna e liberista Americana come le Gibson girl per le sue immagini pubblicitarie, così come non proibirà i film americani in cui vi sarà la presenza di un mondo più libero e di una donna indipendente.
Ecco secondo lei perché si crea questo dualismo di realtà in cui la donna deve essere riportata all’ordine delle cose, con addirittura l’impostazione di come doveva essere fisicamente (formosa) e l’ausilio dei manicomi per sbarazzarsi delle donne inopportune e dall’altra invece si esalterà la donna indipendente americana all’interno delle immagini pubblicitarie?
Se si guarda all'affermazione del modello femminile statunitense in Italia durante il periodo fascista si scorge, in realtà, il rapporto ambivalente che il regime instaura con queste nuove figure che iniziano improvvisamente a comparire da oltre oceano; è un'ambivalenza che contrassegna l'anima stessa del regime, in bilico tra voglia di modernità e richiamo alla tradizione.
Le "donne nuove" americane sono seducenti perché forti, efficienti ma al tempo stesso sono repellenti perché scardinano i modelli tradizionali del femminile sui quali la propaganda fascista insiste per affermare precise gerarchie nei rapporti di genere. Le donne americane sono soprattutto figure che confliggono con la rappresentazione della donna nuova italiana votata a svolgere compiti nell'interesse dello Stato attraverso la sua capacità riproduttiva. Non è un caso che in manicomio finiscano anche gli "scarti del progetto eugenico", quelle donne, cioè, che per una serie di disfunzioni e anomalie erano percepite come pericoli per il patrimonio biologico della nazione.
I manicomi durante il regime fascista quindi possiamo dire diventeranno un arma per ottenere il silenzio delle tante donne che invece cercavano una libertà.
Perché questo?
Durante il periodo fascista i manicomi continuano a essere dei luoghi in cui mortificare quelle identità femminili che con le loro condotte intemperanti e i loro desideri di eccessiva autonomia mettono in crisi gli equilibri famigliari.
Per concludere un ultima domanda, cosa l’ha portata a volere intraprendere questo viaggio all’interno di memorie così dolorose e anche nella maggior parte dei casi sconosciute?
Gli archivi degli ex ospedali psichiatrici rappresentano delle miniere preziose dalle quali attingere per rimettere in primo piano una storia a lungo rimossa dalla nostra memoria collettiva: in essi sono conservate la storia dell'esclusione, del disagio sociale, le storie di tanti uomini e donne che hanno consumato le loro esistenze e non sono più riusciti a far sentire la loro voce in una società che li aveva marginalizzati. Io ho avuto la possibilità di studiare le carte dell'archivio storico del manicomio di Teramo e ho potuto trarre da questo lavoro di ricerca un arricchimento umano, prima ancora che professionale.